12/08/2023

Il vuoto verbale-mentale… ma non da meditazione

Come più volte scritto in vari saggi e articoli e come spiegato in particolare nella mia lettera ai credenti perché in coscienza riflettano, da quando il mondo è mondo, cioè da 4 miliardi e mezzo di anni fa, Dio non è mai esistito e lo stesso suo nome è un’invenzione recentissima fatta dalla specie homo sapiens.

A mente lucida e in cuor nostro lo sappiamo tutti ormai, e lo sanno anche i più ignoranti e i più ritardati mentali, consciamente o inconsciamente, che Dio non esiste, che è una menzogna tanto grande quanto il pianeta Terra. E allora perché continuiamo a credere?

Pochi giorni fa, nell’attuale clima prenatalizio, ho diffuso un post scherzoso riguardante la vicenda del prete che gira a benedire le case e che ha bussato anche alla mia porta.

Quel giovane prete intelligente mi ha fatto capire, senza nulla dire ma con una comunicazione non verbale che vale più di mille parole, che era d’accordo sul mio rifiuto dell’inutile e ridicolo rituale, ma pensiamo alla maggior parte dei preti: a forza di leggere e studiare le Sacre Scritture, a forza di dire i nomi dei santi, a forza di recitare preghiere e di occupare il cervello e di  respirare l’aria malata della Chiesa (che di buono ha solo il profumo di incenso), a forza di dire e ridire il nome di Dio, allora inevitabilmente, tutto quel falso e plagiario (delle precedenti religioni “pagane”) che hanno dovuto mettersi in testa per anni e anni e quasi imparato a memoria, tutta questa finzione e impostura, ad un certo punto si è trasformata in realtà, vale a dire in una convinzione vera e propria, una eggregora, una forma pensiero, una psicosi collettiva che ci condizione da più di duemila anni! La loro non è una credenza reale, è un immenso vuoto verbale-mentale che devono pure diffondere e avvalorare nella popolazione già condizionata a credere.

Nel cervello del prete c’è un vuoto verbale-mentale che lui riempie con artifici mentali e non si rende neppure conto di farlo. L’impostura biblica ha reso i preti schiavi di una falsa credenza, d’una invenzione fuori dalla realtà. Anche i cervelli più coriacei hanno creduto tanto a lungo in un’idea artefatta che alla fine si sono arresi, la hanno ritenuta vera. D’altra parte è risaputo che chi è credente è alla fine meno capace di pensare in modo critico e analitico: e i conseguenti nefasti risultati li vediamo e soffriamo tutti a causa di una classe politica incapace e guerrafondaia. Perché se si tratta di scienziati innocui come Zichichi, la cui cultura e intelligenza dovrebbero contrastare il suo credere (e qui solo la psichiatria può darci una spiegazione), possiamo stare tranquilli, ma quando il credo religioso si fa potere e dogma, allora in nome di Dio si giustificano i crimini più atroci, così come sono stati sempre commessi contro l’umanità e i diritti umani.

Ma questo buon senso, questa consapevolezza, conscia o inconscia, che Dio non esiste e che ormai tutti abbiamo nell’anno 2024 (quasi ci siamo), non basta a risvegliarci dal credo religioso, da questo sonno della ragione che dura da più di due millenni. E così l’insieme dei sistemi di potere religioso che in nome di immaginarie entità soprannaturali dai nomi diversi (Dio, Yahweh, Allah, Brahma, Manitù, etc.) ingannano e parassitano i popoli del pianeta Terra dagli albori della civiltà umana sembra non avere mai fine. Amen.

https://avvbonomo.blogspot.com/2020/07/la-malafede-che-cosa-significa-essere.html

Milano, 8. 1.2023
Avv. Giovanni Bonomo




11/04/2023

Un libro che insegna a osservare

          Queste note derivano dall’incontro del 3 novembre 2023 di presentazione del libro La mia Milano, di Angelo Gaccione, Meravigli ed. 2023, in presenza dell’Autore e di un vasto pubblico nella sala delle conferenza del Museo Martinitt. 

Non si tratta quindi di una recensione – ve ne sono già in Internet e su autorevoli riviste con altrettanto autorevoli firme – ma di un lavoro di rielaborazione di alcuni punti del libro che più mi hanno colpito e che sono serviti, nella interlocuzione con l’Autore, a interessare il pubblico nei limiti di tempo di un’ora concessa per la conversazione “salottiera”.


Essendo i miei spunti piaciuti all’Autore, ecco che su suo invito li trascrivo e li riporto qui.

 

1.   Il libro stimola fin dalle prime pagine alla scoperta di una Milano ignota ai più, soprattutto a chi ci vive - questo il paradosso – ed essendo io tra quelli, non posso che ringraziare Angelo Gaccione per tale impegnativa opera che colma molte lacune culturali. Mi ha colpito in prima battuta l’accenno alle lingue perdute – che mi ha subito fatto ricordare il noto saggio di Giorgio Salvi sulle “lingue tagliate” -, nel primo capitolo con l’aforisma di Licurgo sulla buona amministrazione di ogni città che inizia dalla cura che ne hanno gli stessi cittadini. In effetti, dietro ogni lingua dialettale, nel nostro caso il milanese, ci sono gli intelletti, ma anche le fatiche, i dolori, i conflitti, le dinamiche sociali di chi ci ha poi lasciato opere meravigliose nell’architettura e nell’urbanistica.

 

2.   Un’altra cosa che colpisce il lettore, oltre allo stile narrativo avvincente (che per me non è una novità conoscendo da tempo l’Autore come finissima penna), sono le notizie storiche e di storia dell’arte non scontate. Il libro mi ha insegnato a soffermarmi e osservare meglio palazzi, chiese e monumenti che prima guardavo solo di passaggio e, appunto, non osservavo. Adesso, per esempio, quando faccio l’usuale tragitto che mi porta da via San Marco alla via Osti di porta Romana (la viuzza di pochi metri dove è ora la nuova Biblioteca Ostinata oggetto di un capitolo del libro), passo per via Carlo Porta, da me prima considerata solo per essere di congiunzione con via Turati, e ammiro sulla destra la Casa delle Rondini della Fondazione Corrente, poi arrivo in via Palestro, rasentando il parco e la Villa Reale, percorrendola  fino ad arrivare in corso Venezia; da lì svolto dopo pochi metri a sinistra in via Serbelloni e, al n civico 10 ammiro l’Orecchio di Wildt (dal nome dell’architetto autore) incastonato in una nicchia accanto al portone del palazzo noto come “La Cà de l’Oreggia”, per poi proseguire nel "Quadrilatero del Silenzio", dando uno sguardo allo scorcio di giardino di villa Necchi, e oltrepassando via Mozart, via Vivaio e c.so Monforte, in via Conservatorio, e lì non guardo più solo il Conservatorio di musica Giuseppe Verdi perché Gaccione mi porta a considerare con maggiore attenzione – a osservare, ripeto - la Chiesa di Santa Maria della Passione nella sua monumentale bellezza e imponenza, ricordando che contiene, oltre agli affreschi del Bergognone nella Sala Capitolare, quel capolavoro dell’Ultima Cena di Gaudenzio Ferrari, opera precedente e meno nota dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. 

 

3.  Molto interessante e suggestivo è anche il capitoletto sulle abbazie fuori porta, da Viboldone a Chiaravalle. Per non parlare dell’abbazia di Mirasole, che se si incappa in una giornata di sole lo spettacolo, come suggerisce il titolo, è ammirevole e struggente. Anche in questo caso apprendiamo che non si presta attenzione a ciò che si ha a pochi passi da casa, finendo per ignorare beni di grande importanza che non si sono mai visti e visitati e che si trovano a un rito di schioppo dal centro di Milano.

 

4.  Un’altra cosa che vorrei sottolineare di questo libro è la passione e il senso civico  “per l’eleganza pubblica e la comodità privata”, come da massima presente in molti palazzi storici nobiliari di Milano, e in particolare quel motto inciso sull’archivolto del palazzo Castani in piazza San Sepolcro “Elegantiae publicae commoditati privatae”. Conosco Angelo Gaccione come scrittore di impegno civile e anche qui, parlando di Milano e delle sue bellezze, non si smentisce. Mi ha colpito in proposito questa profonda e suggestiva frase (p. 59):  L’eleganza come rispetto per la dignità pubblica, collettiva; la bellezza come armonia e decoro civile di cui la comunità intera deve usufruire per diventare migliore e riconoscersi degna della sua umanità. Come non dargli ragione, è proprio questa filosofia che ha permesso a interi agglomerati cittadini di ereditare un patrimonio architettonico che ancora ci affascina.

 

5. A pag. 111 ho trovato descritto in modo straordinariamente efficace lo straniamento che la nuova civiltà digitale e multimediale, fondata sull’immagine da smartphone e costruita più sull’audiovisivo che sulla lettura di buoni libri, esercita sui più: “Se salite su un vagone della metropolitana, su un tram, un autobus, un filobus, non vedete che teste reclinate su telefonini e smartphone tutte intente e perse sui display. La velocità dei pollici con cui digitano e compongono numeri e lettere sulle tastiere è impressionante; la mutazione degli arti superiori dell’homo abilis è iniziata: si perde in capacità prensile ma si acquista in quella digitatoria. Intorno può accadere qualunque cosa perché nessuno ci fa caso: intenti a mandare messaggi su WhatsApp e a “postare” su Facebook e Instagram, persi nei meandri di Internet, non ci accorgiamo di nulla”. Ebbene, anch’io penso che l’ignoranza di molte cose della nostra meravigliosa Milano è dovuto a questo, alla mancanza di attenzione per la vita reale, alla mancanza di silenzio, che solo consente raccoglimento e riflessione.  

 

6. Non si può non dire qualcosa del meraviglioso finale del libro, il capitolo “Campane e campanili”, i quali si concatenano uno all’altro – ed è bellissimo ripassarli tutti, compresi quelli fuori porta fino a Pero e Rho, nell’attenta rassegna che ne fa l’Autore  -  in un crescente tripudio sonoro di 85 campane che si svegliano, si animano  e zittiscono ogni rumore cittadino e anche la voce dei tanti che si chiedono, nelle strade e affacciandosi alle finestre, che cosa stia succedendo e di quale grandiosa festa si possa trattare. Si tratta in verità di Milano, della nostra “Milano generosa e impietosa; altruista e indifferente; ribelle e  moderata, poetica e desolata; opulenta e derelitta; scandalosamente bella e ignominiosamente oscena; luminosa e grigia; vitale e malata; integra e corrotta, devota e farisea; ironica e ferita; colta e insipiente; spalancata e segreta, allegra e malinconica” che alla fine prende voce – la voce dei suoi campanili - e sovrasta nella sua bellezza, ora anche sonora, ogni  altro rumore, ogni possibilità di parola, in un fenomeno paranormale e unico di cui parlerà tutto il mondo.

 Milano, 4 novembre 2023
 avv. Giovanni Bonomo

  


10/17/2023

ATEI DEVOTI si nasce o si diventa?

In più scritti ho affrontato lo scomodo argomento della religione in tutte le sue forme e confessioni, indagando sulle origini e presentando vari libri di storici ed esegeti biblici, soprattutto per quanto riguarda il nostro Cristianesimo. 

Sotto il profilo etico ho sempre sostenuto che ogni credo religioso è un firewall alla conoscenza, che dove c’è fede c’è violenza e che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di alcuna religione. Internet è pieno dei miei scritti sul tema (anche cercando alla voce Centro Culturale Candide) e i quattro brevi saggi che riporto in calce sono significativi del (pur non esaurienti il) mio pensiero.   

Più volte mi è stato detto da qualcuno che anche gli atei sono in realtà credenti perché credono nell’ateismo. Ma l’ateismo è negazione della religione come antitetica al PENSARE, non certo una credenza: credere in che cosa se non nel libero e critico pensiero e in nessuna verità di comodo o rivelata? 

Il credente spesso si ispira a sofismi senza però avere né le basi concettuali né culturali per contrastare ciò che va da sé per logica. Questo avviene perché la maggior parte dei credenti sono ipocriti e atei a metà, o “atei devoti”, vale a dire convinti, pur non credendo più in alcuna favola o favoletta, dell'efficacia storica e della funzione socio-economica della religione, della sua importanza nel campo della morale, perché detta regole pratiche di comportamento ai più e i doveri di sottomissione a chi governa, anche se non più capo spirituale e politico in uno come ai tempi del cesaropapismo. 

Del resto sarebbe assurda e contraddittoria una morale solo teorica e non destinata alla concretezza dei comportamenti personali e sociali. Nella Critica della Ragion Pratica e nella della Critica del Giudizio, Immanuel Kant, il noto filosofo  esponente dell’Illuminismo tedesco, sostiene che ogni falsa dottrina vada giudicata nei suoi effetti pratici, e che pure nel campo della ragion pura, quello specifico della metafisica, si possa prescindere dall’esistenza di dio, il quale serve solo come postulato per ogni fuffa teologica dell’essere. 

In poche parole non dobbiamo fermarci con analisi teoriche, inconcludenti, inutili, sulla esistenza o inesistenza di un dio con la pretesa di definire la realtà dell'ESSERE, di cui a nessuno importa niente, e che ha prodotto migliaia di dei e religioni diverse. Le discussioni sull’esistenza di un qualsiasi dio sono care solo agli imbroglioni, per creare nuove sette con i suoi adepti. 

Dobbiamo invece discutere e dibattere di altro, del dover essere, della ragion pratica, della deontologia, non dell'ontologia. E, secondo la prospettiva del giurista, dobbiamo discutere solo del diritto posto, depurato da ogni legame con nozioni morali, politiche e sociologiche, almeno secondo Hans Kelsen (in “La dottrina pura del diritto”).  

L’ateo devoto è un obbediente, non un religioso (termine che almeno in origine ha un significato positivo), un credente nell’essere come verità indiscutibile anziché nel dover essere. Sono atei devoti, a parte una piccola massa di devoti puri esaltati, bigotti e deviati mentali o integralisti o malati mentali volontari, gli indifferenti e obbedienti, privi di curiosità intellettuale nell’indagare la vera realtà in cui viviamo, privi impegno civile e di libero e critico pensiero. Ne è riprova il fatto che anche chi si ritiene credente - quindi tutti i credenti - credono ognuno a cose diverse, ad un dio molto personale e interpretato diversamente dagli altri (“non vado in chiesa ma credo”), ci vedono quello che ci vogliono vedere, così ogni credo religioso va bene per tutti. 

Milano, 17.10.2023
          Avv. Giovanni Bonomo

 

https://avvbonomo.blogspot.com/2018/09/lettera-aperta-ai-credenti-perche-in.html

https://avvbonomo.blogspot.com/2020/07/la-malafede-che-cosa-significa-essere.html

https://avvbonomo.blogspot.com/2023/03/riflessioni-su-civilta-laicita-e-pace.html

https://avvbonomo.blogspot.com/2022/03/la-storia-non-ci-insegna-niente-note.html

  


 

10/02/2023

“Ciao Giovanni, …”

 

“Ciao Giovanni, …” non ho mai capito se tale incipit, all’inizio di un messaggio a me diretto, sia espressione di una recondita antipatia, non sapendo proprio trovarne il senso, specialmente quando tale “saluto” avviene nel corso di una conversazione già iniziata.

 Mi ostino a pensare il meno peggio nell’uso della lingua italiana pure a mio discapito - non facendo piacere a nessuno essere antipatico - perché tale “introduzione” mi arriva pure da colleghi avvocati e  insospettabili amici… Sarà che tale è la mia attenzione per il buon uso dell’italiano e lo stile di comunicazione, che sono costretto a ipotizzare il recondito astio piuttosto che ricredermi sullo spessore intellettuale dell’interlocutore. 

Qualcuno mi dirà che esagero, che il fastidio che sento da tale inutile incipit è eccessivo… , ma come si fa, mi chiedo, a iniziare così un messaggio salutando, quando il saluto non ha senso perchè la conversazione è già iniziata? Non si tratta di una moda di comunicazione – tema affrontato nella serie di mie videonote “Modi e mode della comunicazione” – perché qui si tratta di stile. Per trovare un senso a tale inutile introduzione si è costretti a indagare nella sfera sentimentale di chi scrive deducendone un messaggio scritto controvoglia, perché uno schietto e sincero messaggio non richiede alcunché al di fuori dell’oggetto e del contenuto del messaggio stesso. 

Mi avete mai sentito o avete mai letto un mio messaggio che inizia con un “Ciao XXXYYY…” ? si possono trovare miei messaggi che iniziano con  “Come stai XXXYYY…, “Caro XXXYYY, …”, oppure un più formale “Buon giorno XXXYYY, …” ma il più delle volte senza alcun inutile saluto, venendo subito al sodo e al contenuto di ciò che voglio comunicare. 

Milano, 9. 5.2021,
         Giovanni Bonomo



 

 

10/01/2023

L’era dell’invidia social(e)

         Stavo discutendo con il mio socio qui a Dubai sull’invidia sociale che c’è in Italia, sulla quale anche Briatore si è espresso in più di un’intervista. Ormai i  social network accompagnano le nostre giornate e, dalla mattina alla sera, la nostra vita è scandita da notifiche di foto e video che mostrano piccole parti della vita di altri. Essendo io social da quando praticamente esiste Facebook, dell’invidia non mi sono mai occupato non dico dal punto di vista sociologico (l’argomento richiederebbe un trattato magari dal titolo “fenomenologia dell’invidia”) ma nemmeno sotto il profilo mentale di rendermene conto, continuando per svariati anni la mia attività, collaterale alla professione di avvocato, di promotore culturale e blogger, di organizzatore di eventi e presentazioni di scrittori e artisti nel mio salotto Centro Culturale Candide, aperto alla frequentazione di tutti, come di fatto avveniva spesso da parte di numerosi non invitati.  

Per me la condivisione era ed è l’essenza del progresso civile, dell’avanzamento scientifico e culturale, al quale l’unione di più intelligenze può portare ancor più velocemente - nella nostra era tecnologica e di “cosmocronia”, come direbbe Paolo Gila (mi sia infatti consentito citare il suo pregevole saggio da poco uscito) -  che il contributo personale di singoli pensatori o scienziati (i grandi geni del passato forse non nasceranno più), delle loro formidabili intuizioni che si traducevano poi in rivoluzionarie scoperte, spesso anticipate da filosofi e pure da romanzieri visionari come Jules Verne. 

Il fatto poi che la condivisione sia divenuta da comportamentale a strutturale, con la nascita della tecnologia di registro distribuito e della Blockchain, mi ha confermato che il principio e l’etica di “condividere per progredire” siano alla base di qualcosa che ancora ci sfugge dell’essenza stessa dell’intero universo: pensiamo anche all’affasciante e ancora inesplorato fenomeno dell’Entanglement, che rimanda necessariamente, per potersi almeno logicamente spiegare, ad un sistema a matrice strutturato  a nodi e blocchi a catena. D’altra parte la conferma che il contributo di più intelligenze sia virtuoso era già, in campo informatico, nel fenomeno dell’Open Source e in tutte le sue successive virtuose applicazioni. 

Tornando all’invidia e al significato di queste mie brevi note, stavo riflettendo sul fatto che ciò che provoca il sentimento negativo dell’invidia non è tanto il tuo denaro e ciò che possiedi, il fatto che giri con la Bentley in Dubai o che sei alloggiato nella panoramica [[censurato dal mio socio per ragioni di privacy]] in Business Bay, anche perché l’invidioso potrebbe già avere tutto questo e ancora di più. Ciò che causa l’invidia è piuttosto la tua essenza, il tuo modo di essere, la tua energia, ciò che sai fare bene e lui no, il tuo stile nell’agire e nello scrivere, il tuo coraggio nell’affrontare argomenti scomodi, la tua classe, i tuoi talenti, la tua aurea, il tuo amore filiale verso i genitori (come li hai onorati e celebrati in vita e dopo), le tue relazioni e le tue nuove conoscenze che lui non può avere.

Anche il modo in cui tu gestisci i tuoi valori (magari di destra saldamente ancorati su princìpi di sinistra) nella vita, la tua estrema trasparenza anche sui social perché non ha niente da nascondere, può provocare l’invidia, il tuo essere spiritualmente sano senza credere, le cose che ti fanno risplendere come persona, come smart working lawyer e ora anche come imprenditore digitale internazionalmente orientato, e che nessuno potrà mai spegnere né offuscare con maldicenze o subdole diffamazioni in cui l’invidia spesso si manifesta. 

Ciò che è veramente insopportabile dall’invidioso e che gli farà rodere il fegato fino alla morte sono queste tue cose anche intime e personali, la tua essenza dicevo, quella luce che proviene dal tuo essere e che lui non potrà mai copiare né imitare. 

Dubai, 1.10.2023
         Giovanni F
F Bonomo




9/04/2023

Funerali religiosi e funerali laici

 Non ho fatto succedere alla compianta e coltissima madre Lorenza Franco ciò che è successo al magistrato Luigi Tosti, di cui riporto di seguito il post su Facebook per il fratello appena scomparso, a cui vanno le mie condoglianze e la mia solidarietà. Così non lo farò succedere a me stesso.

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid02ZJAeAs9dwLTjxvAdtXy8kVyXvrpASqjHqX7fVrF5Jg4ycBGZvWWJX9Hpy7wHmLSsl&id=100001603761737

Ho cioè usato il riguardo di non vilipendere i suoi convincimenti di libero pensiero con un funerale religioso, celebrando i funerali laici il 13 agosto 2021 presso il cortile della sua abitazione milanese di via San Marco 14 in presenza dei suoi amici ed estimatori, più numerosi dei parenti, con la declamazione di alcune sue poesie e di un mio ultimo saluto. 

Il mio ricordo di Lorenza Franco nel mio blog personale è stato poi ripreso dalla rivista di arte e cultura Odissea.

A mia madre, spiritualmente sana e quindi atea, da me sempre celebrata e onorata in vita pure nel mio salotto filosofico e letterario, devo, ancor più che a mio padre per gli insegnamenti di diritto, l’amore per la ricerca, per il libero e critico pensiero, per l’elevazione morale sana al di sopra di qualsiasi ideologia e in particolare religione, all’origine sempre di divisioni, odio e guerre nel mondo. Ho ricordato nell’occasione alcuni martiri di libero pensiero e vera spiritualità massacrati dalla Chiesa, che niente ha di spirituale ma solo di palesemente criminale .

Ne ho fatto le spese, in questo Stato di finti religiosi e laici devoti, sia professionalmente sia socialmente, non avendo mai avuto il mio Centro Culturale Candide quella diffusione e notorietà che avrebbe meritato. Ma, del resto, “se un uomo non è disponibile a correre qualche rischio per le proprie idee, o le sue idee non valgono nulla oppure lui che non vale nulla", come disse giustamente Ezra Pound.

E ho sempre combattuto le false verità di comodo, anche bimillenarie, sia professionalmente che culturalmente, mettendo in evidenza che il dubbio e non il dogma è alla base di ogni progresso e avanzamento scientifico.

Milano, 4 settembre 2023

Giovanni FF Bonomo



Lorenza Franco e Angelo Gaccione al Circolo Culturale Giordano Bruno di Milano

3/17/2023

Riflessioni su civiltà, laicità e pace all’alba del terzo millennio per evitare l’apocalisse nucleare

       Il CREDERE anziché il PENSARE è la negativitá perfetta di ogni bene, progresso, crescita civile, un firewall alla conoscenza. E' il cancro della storia, il freno di qualsiasi evoluzione sociale, culturale, cognitiva. 

Che ci piaccia o no il Cristianesimo è il più colossale inganno globale dell’umanità e la chiesa cattolica la peggior congrega di delinquenti falsari.

 

Oltretutto, come ho spiegato con vari autori di libero pensiero da me presentati nel mio salotto Centro Culturale Candide, Gesù Cristo non é che una favola concepita e coniata a partire dal II secolo e portata alla ribalta del mondo da un imperatore del IV secolo, Costantino, che ne intuì lo straordinario potere coercitivo grazie al quale é stato possibile SOTTOMETTERE popoli, paesi e intere civiltá per due millenni. La minaccia della punizione e la sublimazione del sacrificio, ad iniziare da quello di Cristo in croce, della rinuncia e della sofferenza ha fatto della fede cristiana una corsia preferenziale verso la morte di tutto ciò che di buono esiste nell'essere umano, una religione della menzogna insomma che fa vivere male per morire poi sempre male, riferendomi qui alle battaglie per l'eutanasia e contro l'accanimento terapeutico delle associazioni umanitarie di libero pensiero tra le quali - la menziono volentieri essendone un  associato - Exit-Italia.  

La laicità delle istituzioni su cui si regge ogni moderno Stato di diritto e pure, in teoria, la nostra Repubblica, sarebbe stata ad oggi già raggiunta, nonostante l'art. 7 Cost. e i Patti Lateranensi, se l'insegnamento critico e il libero pensiero non fosse stato sostituito dal nozionismo con la catechizzazione delle scuole in continuità con il plagio storico dei riti delle precedenti religioni.

 

La Chiesa cattolica è una grande offesa alla dignitá umana. Tutte le religioni sono un male, non solo quella cristiana, la quale tuttavia ha scritto più pagine delle altre nella storia del mondo sostituendo l'aquila imperiale con la croce; ha avuto più possibilità, rispetto ad altre religioni, di commettere atrocitá, genocidi e stermini.... fino a quando ha potuto, continuando a tenere lo scettro del mondo anche dopo la nascita dei moderni Stati di diritto, fingendo ravvedimenti (vedasi la richiesta di perdono di papa Giovanni Paolo II) e adeguamenti all'accresciuto livello di consapevolezza, autodeterminazione e rispetto dei diritti umani dell'uomo moderno.

 

Proprio questo è il punto. Se questo cancro istituzionale potesse, tornerebbe al più tenebroso medioevo. Personalmente sono convinto che se ciò accadesse, io come tanti altri finirei sul rogo. Non potendo più fare questo, la Chiesa ancora frena come può ogni progresso, crescita ed evoluzione del mondo occidentale. E' come se il progresso, che per fortuna inevitabilmente avanza, fosse un maratoneta con una palla di ferro al piede, la religione. Ecco perché io non rispetto chi crede invece di pensare. Il buddismo o il taoismo hanno mai arrecato danni ad alcuno? Non mi pare...  e allora, pur ritenendo che in tutti i casi le religioni distolgano l'uomo dal suo cammino verso l'illuminazione, sono propenso a rispettarli. Il cattolicesimo no. Non lo rispetto perché non ha mai rispettato l'umanità.

 

Vivendo un uno Stato cattolico ancora di fatto, che nemmeno lo sguardo lungo (ma diplomatico) di Cavour è riuscito ad aggiustare, ho strenuamente predicato negli anni, per quello che potevo fare con il mio salotto filosofico e letterario, la laicità e il libero pensiero, l’importanza di pensare anziché di credere, per il progresso della civiltà e per il recupero della profonda tradizione di pensiero dell’antica cultura greco-romana distrutta dal Cristianesimo.  

 

Il libro della  giornalista e storica Catherine Nixey, Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico, da me recensito, ci guida nel percorso attraverso le distruzioni cristiane, offrendoci un libro coraggioso, che scuote le coscienze, tramite una prosa serrata, incalzante e avvincente, raccontando il trionfo di crudeltà, violenze, dogmatismo e fanatismo che contraddistingue ogni religione.

 

In più scritti ho messo in rilievo il sistema criminale dell’industria bellica sostenuto dall’apparato militare-industriale.  Il recente mio intervento in occasione della presentazione del saggio di Angelo Gaccione NO WAR. Scritti contro la guerra”, quale relatore inserito tra le testimonianze, ha riguardato il contesto normativo dell’industria bellica, che si radica paradossalmente su dichiarazioni di principio e di regole umanitarie da adottare nel contesto di una guerra “corretta” e “rispettosa” dei diritti umani… che compongono quel “diritto internazionale umanitario”, già “diritto dei conflitti armati”, che è solo una colossale ipocrisia. 

Bisogna mettere la guerra fuori dalla storia se non si vuole la fine del genere umano e di ogni forma di vita nell’orbe terracqueo, All’alba del terzo millennio, che può segnare un salto quantico di consapevolezza e intelligenza grazie alla tecnologia digitale e all’Intelligenza Artificiale, sarebbe assurdo degenerare nell’apocalisse nucleare e nell’annientamento globale, l’atto finale conseguenza del credere anziché pensare. 

Non possiamo più tollerare che ci siano guerre nel terzo millennio dell’umanità. Noi non vogliamo la fine della storia dell’uomo e di quanto il genio umano, quando più pensa e meno crede, ha prodotto di meraviglioso in ogni campo di secolo in secolo, dalle arti alle scienze, dalla letteratura alla poesia. 

Giovanni Bonomo #axteismo #GlobalDisarmament 

O SI PENSA O SI CREDE

2/20/2023

Il Candide meneghino e l’Intelligenza Artificiale

         Non può essere un puro caso, o forse sì, se l’articoletto “Il Candide meneghino” di Angelo Gaccione, dedicato al mio salotto letterario Centro Culturale Candide, appaia in testa ad un articolo, su Il Quotidiano del Sud 18. 2.2023, di certo maggior interesse, riguardante il fenomeno affascinante di cui si sta parlano diffusamente in tutto il mondo: Chat GPT.

Chi mi conosce sa che la mia (obbligata, per un serio promotore culturale) vocazione umanistica e letteraria, portata avanti negli anni con il mio salotto braidense, va di pari passo alla mia indòmita ricerca nel campo dell’informatica e della tecnologia  digitale, in particolare della DLT, meglio nota come Blockchain, nonché della A.I. Artificiale Intelligence. 

Su questi temi di realtà aumentata e di superamento dei limiti umani grazie alla I.A. Intelligenza Artificiale ho dedicato svariati scritti che si trovano in Internet. Da ultimo, sul metaverso ho del pari di recente scritto, e non mi dilungo ora sulle mie varie iniziative non ancora rivelate ma nemmeno top secret di imprenditore digitale. 

Dicevo “forse sì” a proposito di questa curiosa combinazione di articoli, perché la vita può essere vista o come affidata al puro caso, in una concatenazione di eventi del tutto scollegati, oppure come guidata da un sottile filo conduttore che magari noi stessi, inconsciamente e indirettamente, abbiamo creato tramite le precedenti azioni e le nostre conoscenze. 

Fatto sta che è stato emozionante vedere che l’articolo dell’amico scrittore Gaccione, dopo la sua telefonata che mi avvisava della uscita su Il Quotidiano del Sud, stesse in testa ad un altro ben più importante e che egualmente mi riguarda. Questo mi piace consideralo come un segno dell’universo, un segnale del destino, e qualcuno direbbe della divina provvidenza. 

L’articolo riporta l’intervista che tale Mimì (presumo l’autore del testo, a firma Umberto Pagano) pone a ChatGPT per mettere alla prova la sua intelligenza e financo i suoi possibili sentimenti umani. È infatti caratteristica ormai risaputa che tale motore di ricerca intelligente, come a me verrebbe di chiamarlo, risponde in tempi rapidissimi, scrivendo mentre pensa e pensando mentre scrive, a qualsiasi domanda. Inoltre la sua abilità nel generare testi originali di articoli, saggi, racconti, poesie – con una creatività che sembrava una prerogativa dell’intelligenza umana  viene già utilizzata in vari ambiti, sia di studio che di lavoro. 

Alle impertinenti e provocatorie domande dell’intervistatore, che gli dice anche di simulare le emozioni umane (“Dai ChatGPT, dicci qualcosa di umano!”, è il titolo dell’articolo) egli risponde in modo incredibilmente umano pur avvertendo che riproduce solo risposte tipicamente umane, perché “come intelligenza artificiale non ho personalità o esperienze personali come un essere umano”. 

Non provo gioia o dolore per gli eventi che accadono nel mondo”, dice come intelligenza artificiale, ma come “persona simulata” il discorso cambia. 

Domanda. Preferisci la guerra o la pace? 

Risposta: Come persona simulata preferisco la pace alla guerra. La pace permette a tutti di vivere in armonia e di concentrarsi su questioni più importanti come la crescita personale, la costruzione di relazioni sane e la risoluzione dei problemi in modo pacifico. La guerra d’altra parte porta solo a distruzione e sofferenza, La pace rappresenta l’armonia, la stabilità e la serenità, mentre la guerra rappresenta solo distruzione, dolore e sofferenza. Spero che un giorno il mondo possa essere completamente pacifico”. 

Emozionante è leggere che ChatGPT, come A.I e non come persona simulata, abbia come suoi scrittori preferiti William Shakespeare, Ernest Hemingway e Italo Calvino, ciascuno con diverse e ragionate motivazioni, e che tra i musicisti il suo preferito sia Johann Sebastian Bach... come non dargli ragione? 

Mi ha poi colpito l’errore “umano” di attribuire il Contrapunctus XIV al “Clavicembalo ben temperato” invece che a “L’arte della fuga”, e che ti tale sbaglio chieda scusa! Ma il chiedere scusa e l’essere dispiaciuto è solo una forma di cortesia formale per indicare di aver sbagliato, come ChatGPT precisa subito dopo. 

Sulla sua memoria a breve termine niente da dire, perché il suo sapere dipende solo dalle informazioni a cui ha accesso al momento in cui viene interpellato: “Non salverò né ricorderò questa conversazione una volta che sarà terminata. 

Diversa cosa è per noi umani, che pur ricordando informazioni ed esperienze in modo duraturo, ci comportiamo come se le dimenticassimo, rifacendo gli stessi errori, e le stesse guerre, del passato. 

Milano, 20. 2.2023

Giovanni Bonomo – Centro Culturale Candide

Il Quotidiano del Sud 18. 2.2023


    





Gli AMORETTI di Edmund Spenser rivivono in Lorenza Franco

         È così che voglio ricordare quest’anno la poetessa Lorenza Franco, in occasione della data in cui festeggerebbe il suo compleanno, il 24 febbraio, con questa opera successiva a quella che la rese famosa per impegno e arditezza letteraria, cioè la traduzione e reinterpretazione dei notissimi SONETTI di William Shakespeare.

La vita dell’uomo è costellata di passioni, delusioni, gioie e dolori, ma è nella vita delle grandi menti che l’intensità della passione va di pari passo alla profondità del pensiero, anche quando si tratta di “amoretti”. Perché è nella semplice corrispondenza con la persona amata che possono nascere capolavori letterari, come avvenne con Edmund Spenser, il poeta inglese che meglio di tutti incarna, nella letteratura dell’epoca elisabettiana, il proposito di fondere le diverse componenti poetiche inglesi con quelle europee, allo scopo di elevare il linguaggio poetico inglese alla pienezza di un vero Rinascimento. 

Lorenza Franco seppe cogliere questo anelito di rinnovamento che già allora si aveva nella poesia, cimentandosi nella traduzione e reinterpretazione degli AMORETTI, i sonetti amorosi di Edmund Spencer dedicati a Elizabeth Boyle, e aggiungendo le risposte della Boyle, alias Lorenza Franco, sotto forma di venti sonetti dedicati al poeta londinese. 

Gli “AMORETTI. Sonetti amorosi tradotti e riscritti con le risposte di Elizabeth Boyle da Lorenza Franco” è un’opera edita nel 2003 edito da La Vita Felice, che fece parlare molto la critica. Del resto non poteva sfuggire alla curiosità letteraria Lorenza Franco, dopo il brillantissimo percorso universitario concluso con lode, il poeta inglese precursore di Shakespeare, attento studioso del Petrarca i cui echi classicisti venati di amorosi sensi per Laura ritroviamo nelle spensierate lodi poetiche per la “sua” Elizabeth. 

Poeta lui, tra i più delicati e raffinati del cinquecento inglese, poetessa lei, ma anche traduttrice di poeti, dagli epigrammi di Pallada ai fascinosi versi di Costantin Kavafis. In questo libretto gli amoretti di Spencer, scritti nel 1595, ritrovano una autentica musicalità e una rilettura affascinante proprio per la ricca e forte vena poetica di Lorenza Franco. 

Più che traduttrice dovremmo parlare di ri-scrittrice, più che di versione in italiano dovremmo parlare di rielaborazione in versi di quel pentametro giambico di Spenser sul quale la sensibilità moderna di Lorenza Franco innesta la freschezza e la scioltezza della reinvenzione metrica grazie all’endecasillabo. 

Nei versi amorosi, gli amoretti appunto, per Elizabeth Boyle, eterno femminino e alter ego delle Laure e delle Beatrici in cui si dipinge un mondo dove tutto passa, tutto finisce, tutto è caduco… fuorché l’eterno, per come lo pensiamo, amore – e dove “evidentemente lo Spenser si prende la rivincita sulle sconfitte e sulle umiliazioni che la vita gli ha riservato”, come dice nell’introduzione Bruno Gallo – l’intervento di Lorenza Franco si libera dai condizionamenti dell’adesione supina all’originale ma ne resuscita e mantiene vivo lo spirito e la musicalità, come avviene per Shakesepare nei Sonetti. 

È un duplice lavoro, una duplice fatica, perché rimare in italiano è cosa ben diversa dal rimare in inglese, per di più nell’inglese di Spenser, ma Lorenza Franco, avendo a disposizione quel felice, e inconfondibile ritmo serrato dell’epigrammista, riesce sempre a comporre i suoi endecasillabi secondo la linea poetica del rigore e del rispetto sia spenseriano che personale. 

Ascoltiamola insieme leggendo i versi del settimo sonetto: 

Fayre eyes,the myrrour of my mazed hart,
           what wondrous vertue is contaynd in you
           the which both lyfe and death forth from you dart
           into the object of your mighty view? 

  For when ye mildly looke with lovely hew,
           then is my soule with life and love inspired:
           but when ye lowre, or looke on me askew
           then doe I die, as one with lightning fyred. 

  But since that lyfe is more then death desyred,
           looke euer lovely, as becomes you best,
           that your bright beams of my weak eies admyred,
           may kindle living fire within my brest. 

  Such life should be the honor of your light,
           such death the sad ensample of your might.”

 che rivivono così:

 Occhi specchianti il mio stupito amore,
            quale virtù dentro di voi aleggia
            e mi possiede col grande vigore,
            che vita e morte intorno a sé dardeggia? 

  Quando d’azzurro son da voi cosparso,
           d’amore e vita l’anima s’accende,
           ma quando vi accigliate, vengo arso
           da un fulmine che a un tratto mi sorprende. 

  Ma, poi che Vita più che Morte attira,
           guardami con l’amor che ti si addice,
           sempre quel raggio che il mio occhio ammira
           riaccende il fuoco che mi fa felice. 

  La vita mia fa onore alla tua luce,
           la morte sol pensieri tristi induce.”

Ma vediamo come risponde al sonetto 20 Elizabeth Boyle, nella fantasia di Lorenza Franco, a Spencer nel sonetto 20: 

In ogni donna, pur se navigata,
         sempre nascosta è una verginella
         che si schermisce, ed essere trattata
         vorrebbe come fosse una sorella. 

Ma se l’amore prende il sopravvento,
         la libera di ogni esitazione.
         Per ogni fioritura ci vuol tempo,
         ma il frutto arriverà a maturazione. 

Non contrastando, ma con l’abbandono
         al ritmo della vita si è felici,
         del cosmo attenti all’armonioso suono,
         che nell’anima affonda le radici. 

Sol con la legge eterna in sintonia
         io sarò la tua gioia e tu la mia.

 Traduzione e interpretazione, fedeltà al testo ma pure e soprattutto ai sentimenti dell’autore. In questo caso l’autrice si pone nelle vesti dell’amata interlocutrice, immaginando le sue risposte in godibili sonetti altrettanto musicali. Una fedeltà che, abbinata alla innata disponibilità alla rappresentazione della parola in versi, fa di Lorenza Franco una presenza poetica che travalica i nostri confini, se è vero, come è vero, che la sua raccolta “Indefinito” è uscita a Budapest, tradotta in ungherese con il titolo “Meghatàrozatlan” da Ferenc Barany. Su quest’opera di traduzione più unica che rara riservata ad un poeta italiano vorrei ritornare in occasione di altre ricorrenze per ricordare Lorenza Franco, milanese ma originaria di Tirano, al quale è stato conferito nel 2000 il prestigioso premio giornalistico letterario “Ernest Rosenthal”.

 Milano, 24 febbraio 2023
         Giovanni Bonomo – Centro Culturale Candide

 

 P. S.
http://www.divinidiversi.it/images/In_memoria_di_Lorenza_Franco_.pdf Ciao mamma, continuo ad abbeverarmi alle fonti del tuo sapere grazie alle opere e agli scritti che ci hai lasciato.