12/22/2022

L’anno nuovo è alle porte, tiriamo le somme.

Ora che il Covid si è dimostrato meno pericoloso della normale influenza, contro la quale si stanno prendendo precauzioni come ogni anno, si potrebbe tirare le somme di questo lavaggio del cervello ricevuto con proibizioni varie in due anni e che ha funzionato alla grande se ancora si parla di vaccinazioni e “dosi” di vaccino antiCovid.

Chi mi legge sa che mi sono sempre scagliato conto le varie misure che hanno solo penalizzato imprese, cittadini e l'intera economia. Ma non sono stato il solo, insieme ad altri pochi e coraggiosi giuristi che hanno sempre protestato in nome della cittadinanza attiva di sana e forte Costituzione (art. 13, 16, 17, 21, 32, 41, 78, 117 lett. q).

Del resto la disinformazione soprattutto televisiva ha fortemente condizionato l’opinione pubblica, come dico nella mia videonota sulle fake news. Si tratta ora di essere consapevoli e fare tesoro di questo drammatico periodo di pandemia/infodemia che rimarrà negli annali della storia della nostra Repubblica e dell’intero pianeta, a dimostrazione che le moderne democrazie occidentali sono ben lontane ancora dall’ideale di laicità e libero pensiero che dovrebbero caratterizzare i moderni Stati di diritto.  

Di seguito i miei principali articoli, da marzo 2020 a marzo 2022, su tale questione, editati sul mio blog personale, come pure il presente riassunto, perché se solo provassi a metterli su quale social come Facebook verrebbero subito censurati con sospensione di un mese dello scrivente, come è già avvenuto. Buone lettura per sane ora riflessioni! #disanaefortecostituzione #disobbedienzacivile #cogitoergonovax

https://informazione-controcorrente.blogspot.com/2020/03/adriano-madaro-leccessivo-clamore-dei.html 15. 3.2020

https://informazione-controcorrente.blogspot.com/2020/04/lignoranza-del-disimpegno-primo-virus.html 14. 4.2020

https://avvbonomo.blogspot.com/2020/05/trascrizione-dellintervento-al-convegno.html 7. 5.2020

https://avvbonomo.blogspot.com/2021/07/per-una-medicina-fondata-sulle-evidenze.html?m=1
27. 7.2021  

 https://ilvelodimaya.eu/coincidenze-e-fake-news-il-prezzo-da-pagare-per-la-liberta-di-opinione/           5. 3.2022

Milano, 22.12.2022                                                                                    avv. Giovanni Bonomo




11/21/2022

Quanto AMIANTO c'è ancora in Italia?

          La notizia apparsa sul Secolo XIX di sabato 19 novembre 2022 e su altri quotidiani sull'indennizzo da malattia professionale agli eredi di Giovanni Panariello, 66enne del napoletano esposto all'amianto tra il 1978 e il 1991, ci ricorda e ci rende più consapevoli dell’ancora attuale e drammatico problema, trascurato dalle istituzioni, dei MCA manufatti contenenti amianto sparsi per l’Italia e delle impercettibili fibre nell’aria che respiriamo.  

Dopo i più gravi casi delle malattie professionali sul lavoro degli operai che lavoravano l’amianto, con i risarcimenti ai familiari del soggetto defunto che arrivano con notevole ritardo, resta il problema che interessa ancora tutti finché non si opera uno smantellamento e smaltimento di tutti i materiali cancerogeni ancora abbandonati in fabbriche e capannoni industriali e ancora purtroppo in qualche edificio di civile abitazione. 

Una sottaciuta emergenza ambientale

L'emergenza sull’inquinamento da amianto in Italia è drammatica, ci sono ancora 58 milioni di mq di coperture in cemento-amianto, oltre a 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto. Ogni anno in Italia sono oltre 7mila le vittime legate all’impiego di materiale contenente amianto. L’ONA Osservatorio Nazionale Amianto del collega avvocato Ezio Bonanni ha pubblicato i dati aggiornati nella sua ultima pubblicazione “Il libro bianco per le morti di amianto in Italia – ed. 2022”. 

Eppure, esattamente 30 anni fa, tra i primi Paesi in Europa e nel mondo, l’Italia metteva al bando l’amianto attraverso l’importante legge 257/92.  vietando l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione e la produzione di amianto e di prodotti contenenti amianto, secondo un programma di dismissione il cui termine ultimo veniva  fissato al 28 aprile 1994. Ma dopo non si è progettato alcun piano di smaltimento capillare su tutto il territorio nazionale di questo materiale cancerogeno le cui fibre aerodisperse interessavano tutta la popolazione. 

Secondo le stime dell'Associazione italiana registro tumori (AIRTUM), nel 2020 erano attesi circa 1.500 casi tra gli uomini e 500 tra le donne. Il 90 per cento dei mesoteliomi è dovuto all'esposizione ad amianto, un materiale che è stato utilizzato soprattutto negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. 

Come viene smaltito l’amianto? 

I rifiuti di amianto sono da smaltire solamente nelle discariche per rifiuti pericolosi, oppure in una discarica per rifiuti non pericolosi se dotata di apposita cella per rifiuti che contengono amianto. Il Catalogo Europeo dei Rifiuti(CER) fornisce la classificazione dei tipi di rifiuti così come stabilita dalla direttiva 75/442/CEE riguardante tutti i rifiuti, siano essi destinati allo smaltimento o al recupero. 

Uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità ha evidenziato che il carico sanitario in Italia stimato ammonta a circa 4.400 decessi/anno dovuti all'esposizione ad amianto nel periodo 2010-2016: 3.860 uomini e 550 donne. 

Se il vicino ha il tetto in amianto e non denuncia la situazione, possiamo farlo noi. Anzi, lo dobbiamo segnalare perché è nostro dovere tutelare la salute pubblica Le segnalazioni si possono  fare alla ASL o anche via web in forma anonima ai Carabinieri o ai vigili urbani. 

L’ONA ha recentemente creato un App tramite la quale la cittadinanza può segnalare anche solo sospette presenza di manufatti contenenti amianto non smaltiti. 

Nelle scorse settimane il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) hanno voluto celebrare questo risultato con l’evento Amianto e Salute: priorità e prospettive nel trentennale del bando in Italia. Ma nel mondo il 75% dei Paesi è ancora privo di regole. Del resto, tutte le tipologie di amianto sono cancerogene per l’uomo e causano il mesotelioma, il tumore del polmone, della laringe e dell’ovaio; oltre a queste patologie neoplastiche, l’esposizione ad amianto causa asbestosi, cioè una malattia cronica polmonare. Sul punto anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è sempre stata molto chiara: tutti i tipi di amianto creano gravi danni per la salute. 

Ma il commercio di amianto continua 

Ma ciò che è più grave è che dal 2011 a tutt’oggi, i Governi hanno permesso che si importasse amianto in Italia. Sapevano ed hanno taciuto alla Nazione. Hanno lasciato che si introducesse sul territorio della Nazione un materiale killer che ha una grandissima capacità di disperdersi nell’ambiente, senza riguardo né per la salute della collettività, e tanto meno per quella dei loro stessi figli. Di questo scandalo feci un post (https://www.facebook.com/notes/355713045514580di denuncia su Facebook che dovrebbe essere pubblico ma ora è visibile ai soli iscritti al social. Ne riporto allora di seguito i passi principali. 

Non credevamo alle nostre orecchie, ascoltando in aula le parole del sottosegretario all'interno Domenico Manzione: "In quattro anni abbiamo importato tonnellate di materiali contenente amianto, dal 2011 al 2014." Lo ha placidamente ammesso in Aula rispondendo a una interpellanza firmata da Luigi Di Maio, come se stesse fornendo un'informazione qualsiasi. Chissà se sapeva di cosa stesse parlando. Ci ha poi però "rassicurato", informandoci che negli anni successivi i quantitativi sono diminuiti "in modo significativo". Ma il Governo si rende conto che esiste una legge del 1992 che vieta totalmente sia l'importazione che la commercializzazione di amianto sull'intero territorio nazionale? Che roba è mai questa, importare ancora amianto nel XXI secolo? 

Da anni si cerca di bonificare scuole, uffici, ospedali, case, fabbriche e quant’altro perché ne siamo completamente sommersi, come abbiamo da tempo segnalato con le nostre inchieste ed articoli, perché non esiste né un piano nazionale unico del Governo, né da parte dei Comuni e degli altri enti istituzionali. Non si sa neppure dove va a finire e come viene rimosso quello dei singoli privati. 

E se qualcuno si dovesse chiedere quali siano questi prodotti indispensabili a base di amianto che l'Italia importa, beh... resterà deluso: non è dato sapere. Per scoprirlo ci toccherà contare ancora una volta sulla magistratura. 

Milano, 21 novembre 2022

Avv. Giovanni Bonomo - Comitato Nazionale Amianto Eppur si muore




 

11/10/2022

CULTURA UMANISTICA E SAPERE DIGITALE

Così distanti sembrano la cultura umanistica e quella finanziaria, eppure possederle entrambe ci spianerebbe la strada in ogni campo del sapere, oltre a renderci più attenti con le nuove tecnologie senza privarci di empatia e umanità. Resta il fatto che solo la lettura di buoni libri può salvare questo mondo arido e opportunista. 

Internet sta radicalmente cambiando il modo di fare informazione oltre che di comunicare. In Modi e mode della comunicazione della rivista Il Velo di Maya aggiorno i miei lettori sulle novità del terzo millennio appena iniziato e sull’avanzamento tecnologico dell’ecosistema digitale, essendo la pur pregevole disamina, di dieci anni fa, della Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni già datata e inattuale. Nella mia intervista di due anni fa spiego come Internet sta diventando un sistema operativo sociale ad accesso universale e tendenzialmente wireless.     

Se il “Web 2.0” ha rappresentato un nuovo paradigma nell’ecosistema Internet, sottolineando gli aspetti legati all’accessibilità dei contenuti,  alla disintermediazione, ai contenuti generati dagli utenti (self generated content) e ai social media (mettendo in discussione consolidati equilibri e rapporti di forza anche nell’editoria, costretta a emigrare all’estero), il “Web 3.0” e l’“Internet of Things”, insieme alla TLD tecnologia di registro distribuito sottesa alla blockchain, rappresenta il cambiamento ancor più profondo e pervasivo nella vita dei consumatori e dei cittadini, sia a livello economico che sociale. Adesso la combinazione di connettività a banda ultra-larga, l’ampio uso di servizi in mobilità, il rapido sviluppo di applicazioni innovative, di geo-localizzazione e i big data hanno infatti prodotto un forte impatto sull’economia e sulla nostra vita quotidiana. 

Nell’attuale contesto multimediale prevale il visivo sull’auditivo, perché il video funge da motore del cambiamento, come dimostra il fenomeno di Tik-Tok, sorta di Twitter visivo con minivideo flash in grado di impressionare e catturare l’attenzione immediata del navigatore in Internet. In una mia più recente intervista rivelo la mia doppia anima di umanista e di imprenditore digitale, ma non dico – e lo faccio qui - che è difficile conciliare la cultura umanistica con quella finanziaria e di marketing: devo spesso constatare che chi è umanista e letterato dimostra una notevole ignoranza tecnologica e, viceversa, chi è aduso a districarsi nel marketing e ha conoscenze digitali dimostra una notevole ignoranza umanistica e letteraria. 

 Collaborando con riviste di arte e cultura mi rendo conto di questa dicotomia che sembra irrimediabile di chi è dedito alla letteratura e di chi è viceversa dedito alla navigazione in Internet e usa lo smartphone per informarsi: così come Internet distrae dalla lettura dei libri e così i libri possono distrarre dall’approfondimento  digitale per usare bene in modo produttivo la Rete. Ma un giusto equilibrio imporrebbe di essere scaltri nell’uso di Internet in mobilità e delle App senza sacrificare quella spiritualità autentica che solo la lettura di buoni libri può dare. 

In un mio post su Facebook proposi di allestire un Circolo di lettura in ogni condominio, anche se la propria portinaia non è esattamente come Renée di L'eleganza del riccio, di Muriel Barbery: solo la cultura può salvare questo mondo governato da interessi che non hanno nulla a che vedere con l'umanità e la salute dell'anima. 

Milano, 10.11.2022

Giovanni Bonomo
         CCC Centro Culturale Candide – CxT Creativity for Technology



 

10/27/2022

Il crimine della guerra. Trascrizione dell'intervento presso Biblioteca Chiesa Rossa, 26.10.2022

 

Per vari secoli il diritto di ricorrere alla guerra ha costituito una manifestazione della sovranità statale. Le varie teorie sulla guerra giusta che si sono succedute nelle diverse epoche storiche non ne mettevano in discussione la legittimità giuridica, ma il carattere appunto ‘giusto’ o ‘ingiusto’, e sono definitivamente tramontate nel XIX secolo con l’affermarsi del positivismo giuridico che, fondandosi sul diritto effettivamente osservato in una società, ha evidenziato che gli Stati consideravano sempre legittimo, a determinate condizioni, e quindi giusto, il ricorso alla guerra. 

Tale situazione ha cominciato a cambiare dopo la prima guerra mondiale (1915-18) e l’adozione dei primi trattati internazionali che stabiliscono limitazioni al ricorso alla guerra come mezzo per la composizione dei conflitti e la soluzione delle controversie internazionali (in particolare, il Patto della Società delle Nazioni del 1919 e il Patto di Parigi del 1928). La creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 1945, ha poi segnato un punto di svolta: nella Carta dell’ONU non solo è vietato l’uso unilaterale della forza armata e quindi la guerra, ma anche la semplice minaccia dell’uso della forza, ad eccezione delle azioni collettive militari intraprese dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’esercizio della legittima difesa individuale e collettiva da parte degli Stati. Gli Stati vengono così privati dello ius ad bellum contemplato dal diritto internazionale classico. 

L’Italia ripudia la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali e concorre con le proprie forze armate a un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni (art. 11 Cost.) conformandosi così al volere della carta delle Nazioni Unite. 

Le disposizioni contenute nella Carta dell’ONU riflettono lo scenario geopolitico della seconda guerra mondiale, ma, come sappiamo, a partire dalla fine della guerra fredda, negli anni 1990 si è assistito ad un’escalation di conflitti interni e guerre civili (ex Iugoslavia, Ruanda, Sudan, Somalia). 

Il divieto del ricorso alla guerra è stato in seguito affermato in Dichiarazioni di principi adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, la Dichiarazione sul rafforzamento dell’efficacia del principio del non ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali. Oggi il divieto del ricorso alla guerra nelle relazioni internazionali è considerato come prescrizione imperativa di diritto internazionale, così che l’attacco armato contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato da parte di un altro Stato  costituisce un crimine contro la pace. 

Se prima della Carta l’uso della forza era una delle forme correnti in cui poteva concretarsi l’autotutela e Se nel 1945 esisteva ancora una divergenza tra il sistema dell’ONU e il diritto internazionale generale, si è poi realizzata invece una perfetta coincidenza fra i due ordinamenti. In tal senso si è espressa la Corte internazionale di giustizia nella sentenza sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua (1986). 

Ferme quindi queste forti limitazioni dello ius ad bellum, viene in rilevo lo ius in bello, vale a dire il diritto dei conflitti armati, le regole cogenti che devono essere seguite durante i conflitti armati. 

Inizialmente definito come leggi e usi di guerra e codificato dalle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, il diritto bellico è diventato “diritto dei conflitti armati” con le Convenzioni di Ginevra del 1949, che ne hanno esteso la vigenza a tutte le situazioni in cui si esercita la violenza bellica. Oggi è definito come “diritto internazionale umanitario” ed è considerato il frutto dell’influenza delle teorie dei diritti umani universali. 

L’ordinamento italiano prevede che in caso di conflitti armati, così come nel corso di operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionali, i comandanti delle forze armate vigilino sull’osservanza delle norme di diritto internazionale umanitario. 

Dopo il processo di Norimberga (20.11 1945 – 1.10.1946) si consolida l’espressione “crimini di guerra”, che non trova però alcun riscontro nell’ordinamento italiano, essendo lo strumento per la repressione delle violazioni del diritto bellico, il codice penale militare di guerra, dell’anno 1941. Conformemente alla terminologia dell’epoca, il codice militare di guerra contiene un titolo dedicato alla punizione dei reati contro le leggi e gli usi di guerra, titolo che si basa sulla II Convenzione dell’Aja del 29 luglio 1899, ratificata dall’Italia il 4 settembre 1900: per l’esattezza il titolo IV del libro III, poi aggiornato con le leggi 31 gennaio 2002 n. 6 e 27 febbraio 2022 n. 15. 

La giurisprudenza italiana ha definito “crimini di guerra” le violazioni gravi delle norme di diritto umanitario dei conflitti armati poste a tutela della vita e dell’integrità fisica e psichica delle persone che non prendono parte alle ostilità, in pratica la popolazione civile. Tali norme di diritto umanitario sono codificate, secondo la nostra Corte di cassazione, oltre che nelle quattro Convenzioni di Ginevra anche nell’art. 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, ratificato dall’Italia nel 1999 (legge 12 luglio 1999. 232). 

Tali crimini si caratterizzano per violazioni particolarmente gravi dei diritti fondamentali della persona, vale a dire di dignità e libertà, che sono valori fondamentali e parte integrante del nostro ordinamento giusta il rinvio fatto dall’art. 10 della Costituzione. 

Non si può non accennare infine alla legislazione italiana di guerra di cui al regio decreto 8 luglio 1938 n. 1415. In essa si trovano le disposizioni di diritto dei conflitti armati nel titolo II intitolato “Delle operazioni belliche”. Gran parte di queste disposizioni riproducono i contenuti delle Convenzioni internazionali su leggi ed usi della guerra della Convenzione dell’Aja del 1899, aventi valori vincolanti nel nostro ordinamento perché aventi rango di diritto internazionale generale (art. 10 Cost.). 

L’Italia ha ratificato pressoché tutti gli strumenti di diritto internazionale umanitario creatisi a partire dal secondo dopoguerra, per cui dalla lettura delle varie norme si evince un diritto bellico nazionale che, già per l’epoca, si presenta sicuramente avanzato e rispettoso delle norme internazionali. 

Ma non è questo il punto. Come dicevo in un mio articolo per Odissea, le proclamazioni scritte, apparentemente pacifiste, lasciano sempre uno spiraglio belligerante che tradisce il principio. 

Anche la nostra Costituzione, ispirata al principio umanitario e pacifista, reso evidente dall’espressione «ripudia la guerra» all’art. 11, non esclude in modo assoluto l’entrata dell’Italia in guerra, sol che si legga l’art. 78. Ecco perché tale art. 11 lascia impregiudicato, al di là della sacra difesa dello Stato, la partecipazione ad una guerra altrui se ciò derivi dalle «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni». 

Il diritto alla pace, assoluto e incondizionato, dovrebbe essere quel «diritto naturale» a cui si ispira la Carta dell’ONU all’art. 51, che però prevede, anch’essa a tradimento del principio, l’autotutela individuale e collettiva e la possibilità quindi di guerra per rispondere ad un attacco armato. Ecco perché bisogna diffondere il pensiero di Angelo Gaccione e i suoi scritti contro la guerra raccolti nel libretto NO WAR.  Va da sè che in un’era nuclerare come la nostra, a 5 anni dal Trattato per la messa al bando delle armi nuclerari ratificato il 20 settembre 2017 da 53 Stati ma rimasto inattuato, ogni guerra è un pericolo grave per l’intera umanità, perché non lascerà né vinti né sconfitti ma solo distruzione per tutti. 

Il principio pacifista nasce sulla base delle sofferenze dell'umanità e delle macerie lasciate dalle guerre Il Sudafrica, la seconda guerra mondiale, la bomba atomica, la Shoah. E funziona a condizione che ci sia il coraggio di difenderlo e pienamente attuarlo. Il diritto alla pace è riconosciuto oramai come un diritto fondamentale dalla comunità internazionale. Facciamo ora un salto evolutivo, riconosciamolo sul serio, attuiamolo. Come si può non mobilitare le coscienze contro ogni conflitto che porti ad una disastrosa fine per tutti? Quale altra soluzione se non il disarmo unilaterale, totale e incondizionato? Grazie per l’attenzione. 

Avv. Giovanni Bonomo
         Centro Culturale Candide



 

 

9/23/2022

La finanza decentralizzata e la tokenizzazione dell'economia (trascrizione dell’intervento per Etiquette, 22. 9.2022)

Da anni sono impegnato su due versanti distinti ma convergenti nell’evoluzione del pensiero e della cultura. Sul versante umanistico, con il mio Centro Culturale Candide, avevo più volte detto, nelle mie presentazioni di autori vari, oltre che di novelli scrittori, poeti e artisti, dell’influenza delle nuove tecnologie sulla nostra vita quotidiana ormai multimediale, rendendomi conto che la distruzione creativa – ossimoro virtuoso che rende bene l’idea della smaterializzazione dei servizi resi ora tramite Internet – della iniziata digitalizzazione realizza quella previsione che il filosofo Mc Luhan sintetizza nel noto slogan “il medium è il messaggio”, vale a dire che il contenuto, il messaggio trasmesso, viene influenzato e a volte deformato dal nuovo mezzo di trasmissione del pensiero basato ora sulla crittografia (fig. 1); sull’altro versante scientifico e in particolare informatico, da me iniziato come curioso e accanito esploratore della Rete, che già usavo a scopo professionale nello studio legale paterno, mi sono occupato della realtà sottostante al diritto dell’informazione e dell’informatica, la nuova materia universitaria che veniva introdotta in seguito alla convergenza delle telecomunicazioni, della teleradiodiffusione e dell’informatica (fig. 2).   

Del resto il diritto dell’informazione e dell’informatica è la materia giuridica trasversale per eccellenza, toccando non solo le fonti normative dell’informazione, dell’informatica e delle nuove tecnologie, ma anche quelle che presiedono al diritto della personalità, all’identità digitale, al diritto d’autore, alle nuove piattaforme telematiche e alla blockchain, agli smart contracts, comprendendo gli aspetti e le questioni poste dalla  sharing economy e dalla tokenizzazione dell’economia – che dà il titolo al presente incontro - dalle valute digitali, dagli algoritmi di Intelligenza Artificiale, dalle App, dai software in genere e dalle nanotecnologie. 

Tutto ciò senza trascurare quel mare magnum che va sotto il nome di diritto della proprietà intellettuale nel nuovo contesto tecnologico della iniziata quarta rivoluzione industriale. Apro una veloce parentesi: in uno dei miei incontri con l’autore avevo presentato il libro di Paolo Corticelli “Progressive sottrazioni di tempo”: ne nacque una simpatia e sinergia sul versante della semiologia e della scrittura, nel comune intento di preservare il buon uso della lingua italiana a fronte del disfacimento dovuto purtroppo anche alla nostra società multimediale in cui prevale il visivo rispetto all’auditivo, che fa perdere l’interesse per la lettura e i buoni libri. Parlavamo spesso dei nuovi modi e delle nuove mode della comunicazione, e così è stato poi intitolata la mia rubrica nella rivista il Velo di Maya, diretta da Paolo Corticelli, dove più che di linguaggio tratto temi che riguardano la sociologia in senso ampio e le nuove tecnologie, chiusa parentesi (Fig. 3 --- >>> https://ilvelodimaya.eu/category/mode-e-modi-di-comunicazione). 

Dicevo, quarta rivoluzione industriale. Per quarta rivoluzione industriale si intende la iniziata compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico. È una somma dei progressi in intelligenza artificiale (IA), robotica, di Internet delle Cose (IoT), ingegneria genetica, dei computer quantistici e di altre tecnologie. È quindi la forza dell’intelligenza collettiva alla base di molti prodotti e servizi che stanno rapidamente diventando indispensabili per la nostra vita nell’iniziato terzo millennio. 

Inoltre la blockchain e l’attuale tokenizzazione di beni e servizi sono espressione dell’economia collaborativa che potrebbe portare grandi cambiamenti all’umanità rivoluzionando le logiche neoliberistiche che hanno portato a enormi ricchezze in mano solo a pochi individui del pianeta. 

Ma che cosa è la finanza decentralizzata? 

La DeFi Decentralized Finance è un sistema di distribuzione basato sulle criptovalute, sulla blockchain e sugli smart contract, di servizi analoghi ai servizi bancari senza l’intermediazione delle banche. E’ una delle più grandi rivoluzioni dell’ultimo secolo ed è alla base di applicazioni tecnologiche che stanno cambiando la nostra concezione degli scambi di denaro, dei prestiti remunerati (basti pensare al fenomeno dello staking) e dei contratti. 

La blockchain e gli algoritmi sui quali si basa garantiscono scambi sicuri senza che ci siano istituzioni di mezzo permettendo di risalire alle diverse transazioni in trasparenza, velocità e sicurezza. 

Purtroppo il tempo è tiranno e non mi è consentito, nel rispetto della tempistica di questo incontro, dilungarmi sulle varie applicazioni di DeFi, come ad esempio Uma, PancakeSwap, SushiSwap, Bancor, Fantom, Reserve Rights, ma ci basti pensare che UniSwap, uno dei più usati exchange decentralizzati, permette lo scambio automatico e la conversione di criptovalute e di token basati sulla tecnologia ERC20 di Ethereum in modo rapido e sicuro. 

Ma quando si parla di tokenizzazione viene in mente oggi il token per eccellenza, l’NFT, che è una vera rivoluzione nel campo del diritto d’autore e ora non solo nel settore della crypto art. Prima ancora che nascessero gli NFT avevo già parlato a più riprese, in particolare su AffariItaliani, NanoPress e Il Sole 24Ore, dell’evoluzione di Internet, della nascita della Blockchain con il Bitcoin, degli sviluppi della digitalizzazione, della sharing economy e dell’Internet of Everything. 

Un token è un insieme di informazioni digitali all’interno di una blockchain che conferiscono un diritto di proprietà a un determinato soggetto in un modo più certo e sicuro di qualsiasi diverso e superato sistema centralizzato. Ci si avvale cioè della DLT tecnologia di registro distribuito, nata con le criptovalute, per conferire quella caratteristica di autenticità invincibile dato dalla ridondanza di più blocchi tra loro collegati a catena che rendono interdipendente dalle altre e quindi più sicura ogni tipo di transazione (fig. 4). 

La tokenizzazione è la conversione dei diritti di un bene in un token digitale registrato su una blockchain, dove il bene reale e il token sono collegati da uno smart contract. Quindi “tokenizzare” significa generare un token, collegarlo a un bene mediante questo tipo di contratto, renderlo accessibile e circolante tramite una piattaforma blockchain e in definitiva acquistabile tramite una criptovaluta, solitalmente Ethereum (fig. 5). 

Per tale finalità il token è risorsa non fungibile, dovendo rappresentare un bene nella sua unicità e non essere quindi più interscambiabile così come interscambiabili sono invece e restano le altre risorse digitali e le cryptovalute, per loro natura fungibili. 

Ecco perché si chiamano Non Fungible Token o NFT, utilizzati per creare una scarsità digitale verificabile di proprietà digitale. L’arte è stata uno dei primi casi d’uso degli NFT: sappiamo della possibilità di fornire prove certe di autenticità grazie alla blockchain di opere d’arte che altrimenti subirebbero una riproduzione e distribuzione massiva e non autorizzata tramite Internet. 

Allo stesso modo le opere d’arte native digitali e che vengono diffuse via Internet devono poter essere protette dalle appropriazioni indebite e dalla pirateria. Così la crypto art, gli oggetti digitali da collezione e i giochi online trovano negli NFT una valida tutela. 

I CryptoKitties, giochi diventati virali e popolari, hanno utilizzato NFT sulla blockchain di Ethereum. Così anche Gamedex, un’altra piattaforma di gioco ma basata su carte collezionabili. Pure il metaverso di Decentraland è una sorta di mondo virtuale basato sulla blockchain. Proprio nella nostra Italia è avvenuta la vendita di un brano musicale come NFT, esattamente il 17 marzo 2021, dal gruppo “Belladonna” con il brano “New Future Travelogue”.   

Quindi gli NFT non sono solo immagini di gatti che le persone si scambiano sulla blockchain di Ethereum, oggi vi è già una variegata pluralità di contenuti digitali che possono essere inseriti nella blockchain in questo modo, dai “collezionabili” ai più complessi contenuti multimediali in 3D diffusi dai creatori di realtà virtuale e aumentata. 

Musica, arte, design, eventi sportivi, oggetti digitali collezionabili sono al centro dell’innovazione che potrebbe trainare i token e le criptovalute verso un uso di massa. Sul fronte delle arti visive i primi NFT sono stati usati per garantire l’autenticità e la titolarità di un’opera d’arte. 

Il caso più noto quello dell’opera digitale Everydays - The First 5000 Days di Beeple. L’opera creata da Mike Winkelmann, in arte Beeple, è una immagine digitale garantita da certificato NFT che, stampata a video, riproduce una composizione di 5000 immagini (fig. 6). Se osservata nel suo insieme, l’opera appare astratta e la superficie varia di luminosità a partire dall’angolo superiore di sinistra dove si trovano le immagini più chiare. I colori e i toni di intensificano quindi progressivamente verso l’angolo opposto, in basso a destra. Pare che sia stata venduto all’asta da Christie’s a un criptoinvestitore per l’equivalente di 69 milioni di $. 

Ma un altro modo di utilizzo di NFT, che va oltre il certificato di autenticità garantito dalla DLT, compiendo cioè un ulteriore passaggio che va dall’arte digitale (come l’opera di Beeple) alla criptoarte, è proprio quello della “tokenizzazione” dell’opera che nasce digitale ed esiste solo nella blockchain. 

Famosa è la provocazione del gruppo Injective Protocol, che acquistò un’opera dell’inglese Banksy e la bruciò in una sorta di cerimonia pubblica, dopo che l’opera stessa era stata riprodotta e salvata in un NFT. La “cerimonia” dei fondatori della piattaforma Injective Protocol per bruciare tale opera di Bansky capovolge la percezione comune che attribuisce all’opera fisica originale l’aura che la rende preziosa ed unica, assumendo che l’NFT aumenta il valore dell’opera originale proprio in virtù del fatto che essa esiste solo nella realtà digitale, come tale più sicura e duratura (Fig. 7). 

 C’è poi chi sfrutta le caratteristiche della blockchain per certificare l’autenticità di un’opera d’arte “generativa”, ovvero in grado di evolversi nel tempo. Right Place & Right Time dell’artista visivo statunitense Matt Kane, opera digitale mutante in base alla volatilità delle quotazioni di bitcoin, è stata venduta sulla piattaforma Async Art per 100.000 $ in criptovaluta (fig. 8). 

I token hanno fatto la loro apparizione anche nel design: 10 creazioni digitali in 3D di sedie, poltrone e mobili fantastici creati da Andrés Reisinger, autenticati da NFT, sono stati venduti all’asta per l’equivalente di 450.000 $ (fig. 9). 

Non possono mancare poi i collezionabili e i videogiochi, dei quali il più noto NFT è Cryptokitties, gioco blockchain costituito da gattini digitali scambiabili e in grado di generare altri gattini, il tutto sulla piattaforma Ethereum (fig. 10). 

Mi preme sottolineare che gli NFT sono risorse che vanno oltre i diritti di proprietà intellettuale che contengono e che si presentano per questo anche come risorse di tipo finanziario. La tokenizzazione della proprietà intellettuale presuppone che l’autore ceda a terzi i diritti patrimoniali di autore tramite uno smart contract. Gli NFT possono considerarsi come proprietà intellettuali liquide che possono essere sfruttate economicamente. 

 E poiché i diritti di proprietà intellettuale viaggeranno ora sulla blockchain gli NFT sbloccheranno un valore enorme e per ora ancora illiquido, diventando la più grande classe di asset sui mercati secondari. 

La tecnologia blockchain insieme alla I.A. automatizzerà la provenienza della I.P. facilitando il monitoraggio e la gestione dei diritti, compito dei tradizionali enti di gestione dei diritti come la nostra SIAE nei diversi Stati. Tramite gli smart contract gli NFT possono essere condivisi e frazionati tra più utenti, soprattutto quando si tratti di opere d’arte native digitali. 

Di una stessa opera potranno quindi essere venduti indefiniti NFT a diversi soggetti, i quali diventeranno proprietari di una singola copia dell’opera, mentre l’originale resterà di esclusiva proprietà dell’autore. (Tutto ciò porta ad un duplice vantaggio: per l’autore di sfruttare economicamente la propria opera in un numero infinito di volte, venendo remunerato dalla vendita del token ad essa collegato, e per il compratore/collezionista d’arte di acquistare opere d’arte che prima gli erano precluse perché riservate, in originale, a gente ricca e a magnati della finanza). 

A chi ancora nutra dubbi che gli NFT rappresentino davvero il futuro della tutela del diritto d’autore, faccio notare che gli stessi enti di gestione dei diritti nel mondo sono già entrati nel solco così creatosi. Anche la nostra SIAE ha recentemente inserito nella blockchain più di 4.000.000 di NFT per l’equivalente dei suoi 95.000 associati, che vedranno tutelati i loro diritti d’autore ora in modo più trasparente ed efficiente (fig. 11 https://www.siae.it/it/iniziative-e-news/siae-rappresenta-i-diritti-degli-autori-con-asset-digitali-creati-pi%C3%B9-di-4000000). 

Insomma il metaverso, come abbiamo visto, non è solo la estremizzazione del videogioco. Tutto è virtuale, è vero, ma le esperienze e l'economia sono reali. Il mondo della blockchain si sposa bene con il  metaverso, che già esisteva con SecondLife, perché ora  sviluppano delle economie al suo interno: ci si può scambiare oggetti, si possono comprare e vendere servizi e si può partecipare ad eventi, perché la DLT offre l’infrastruttura sulla quale si può registrare ogni tipo di operazione. 

Vorrei concludere con un messaggio di speranza sul tema della rinascita civile, sociale ed economica. Questi progressi di pensiero, alla base delle nuove tecnologie, porteranno ad una società solidale, antigerarchica, armonicamente basata sul rispetto e sull’uguaglianza reale di tutti i cittadini, dove l’economia e il sapere si avvarranno, senza esserne sopraffatti, dell’Intelligenza Artificiale, per dare corpo ad una nuova misura di progresso e avanzamento scientifico verso un nuovo umanesimo tecnologico. Grazie per l’attenzione. 

Avv. Giovanni Bonomo - Centro Culturale Candide



Note
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Fig. 1 


          
          Fig. 2



          Fig. 3



         Fig. 4



         Fig. 5



         Fig. 6

       

         Fig. 7


       
         Fig. 8



       Fig. 9



      Fig. 10




     Fig. 11

https://www.siae.it/it/iniziative-e-news/siae-rappresenta-i-diritti-degli-autori-con-asset-digitali-creati-pi%C3%B9-di-4000000