Per vari secoli il diritto di ricorrere alla guerra ha costituito una manifestazione della sovranità statale. Le varie teorie sulla guerra giusta che si sono succedute nelle diverse epoche storiche non ne mettevano in discussione la legittimità giuridica, ma il carattere appunto ‘giusto’ o ‘ingiusto’, e sono definitivamente tramontate nel XIX secolo con l’affermarsi del positivismo giuridico che, fondandosi sul diritto effettivamente osservato in una società, ha evidenziato che gli Stati consideravano sempre legittimo, a determinate condizioni, e quindi giusto, il ricorso alla guerra.
Tale situazione ha cominciato a cambiare dopo la prima guerra mondiale (1915-18) e l’adozione dei primi trattati internazionali che stabiliscono limitazioni al ricorso alla guerra come mezzo per la composizione dei conflitti e la soluzione delle controversie internazionali (in particolare, il Patto della Società delle Nazioni del 1919 e il Patto di Parigi del 1928). La creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 1945, ha poi segnato un punto di svolta: nella Carta dell’ONU non solo è vietato l’uso unilaterale della forza armata e quindi la guerra, ma anche la semplice minaccia dell’uso della forza, ad eccezione delle azioni collettive militari intraprese dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’esercizio della legittima difesa individuale e collettiva da parte degli Stati. Gli Stati vengono così privati dello ius ad bellum contemplato dal diritto internazionale classico.
L’Italia ripudia la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali e concorre con le proprie forze armate a un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni (art. 11 Cost.) conformandosi così al volere della carta delle Nazioni Unite.
Le disposizioni contenute nella Carta dell’ONU riflettono lo scenario geopolitico della seconda guerra mondiale, ma, come sappiamo, a partire dalla fine della guerra fredda, negli anni 1990 si è assistito ad un’escalation di conflitti interni e guerre civili (ex Iugoslavia, Ruanda, Sudan, Somalia).
Il divieto del ricorso alla guerra è stato in seguito affermato in Dichiarazioni di principi adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, la Dichiarazione sul rafforzamento dell’efficacia del principio del non ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali. Oggi il divieto del ricorso alla guerra nelle relazioni internazionali è considerato come prescrizione imperativa di diritto internazionale, così che l’attacco armato contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato da parte di un altro Stato costituisce un crimine contro la pace.
Se prima della Carta l’uso della forza era una delle forme correnti in cui poteva concretarsi l’autotutela e Se nel 1945 esisteva ancora una divergenza tra il sistema dell’ONU e il diritto internazionale generale, si è poi realizzata invece una perfetta coincidenza fra i due ordinamenti. In tal senso si è espressa la Corte internazionale di giustizia nella sentenza sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua (1986).
Ferme quindi queste forti limitazioni dello ius ad bellum, viene in rilevo lo ius in bello, vale a dire il diritto dei conflitti armati, le regole cogenti che devono essere seguite durante i conflitti armati.
Inizialmente definito come leggi e usi di guerra e codificato dalle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, il diritto bellico è diventato “diritto dei conflitti armati” con le Convenzioni di Ginevra del 1949, che ne hanno esteso la vigenza a tutte le situazioni in cui si esercita la violenza bellica. Oggi è definito come “diritto internazionale umanitario” ed è considerato il frutto dell’influenza delle teorie dei diritti umani universali.
L’ordinamento italiano prevede che in caso di conflitti armati, così come nel corso di operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionali, i comandanti delle forze armate vigilino sull’osservanza delle norme di diritto internazionale umanitario.
Dopo il processo di Norimberga (20.11 1945 – 1.10.1946) si consolida l’espressione “crimini di guerra”, che non trova però alcun riscontro nell’ordinamento italiano, essendo lo strumento per la repressione delle violazioni del diritto bellico, il codice penale militare di guerra, dell’anno 1941. Conformemente alla terminologia dell’epoca, il codice militare di guerra contiene un titolo dedicato alla punizione dei reati contro le leggi e gli usi di guerra, titolo che si basa sulla II Convenzione dell’Aja del 29 luglio 1899, ratificata dall’Italia il 4 settembre 1900: per l’esattezza il titolo IV del libro III, poi aggiornato con le leggi 31 gennaio 2002 n. 6 e 27 febbraio 2022 n. 15.
La giurisprudenza italiana ha definito “crimini di guerra” le violazioni gravi delle norme di diritto umanitario dei conflitti armati poste a tutela della vita e dell’integrità fisica e psichica delle persone che non prendono parte alle ostilità, in pratica la popolazione civile. Tali norme di diritto umanitario sono codificate, secondo la nostra Corte di cassazione, oltre che nelle quattro Convenzioni di Ginevra anche nell’art. 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, ratificato dall’Italia nel 1999 (legge 12 luglio 1999. 232).
Tali crimini si caratterizzano per violazioni particolarmente gravi dei diritti fondamentali della persona, vale a dire di dignità e libertà, che sono valori fondamentali e parte integrante del nostro ordinamento giusta il rinvio fatto dall’art. 10 della Costituzione.
Non si può non accennare infine alla legislazione italiana di guerra di cui al regio decreto 8 luglio 1938 n. 1415. In essa si trovano le disposizioni di diritto dei conflitti armati nel titolo II intitolato “Delle operazioni belliche”. Gran parte di queste disposizioni riproducono i contenuti delle Convenzioni internazionali su leggi ed usi della guerra della Convenzione dell’Aja del 1899, aventi valori vincolanti nel nostro ordinamento perché aventi rango di diritto internazionale generale (art. 10 Cost.).
L’Italia ha ratificato pressoché tutti gli strumenti di diritto internazionale umanitario creatisi a partire dal secondo dopoguerra, per cui dalla lettura delle varie norme si evince un diritto bellico nazionale che, già per l’epoca, si presenta sicuramente avanzato e rispettoso delle norme internazionali.
Ma non è questo il punto. Come dicevo in un mio articolo per Odissea, le proclamazioni scritte, apparentemente pacifiste, lasciano sempre uno spiraglio belligerante che tradisce il principio.
Anche la nostra Costituzione, ispirata al principio umanitario e pacifista, reso evidente dall’espressione «ripudia la guerra» all’art. 11, non esclude in modo assoluto l’entrata dell’Italia in guerra, sol che si legga l’art. 78. Ecco perché tale art. 11 lascia impregiudicato, al di là della sacra difesa dello Stato, la partecipazione ad una guerra altrui se ciò derivi dalle «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni».
Il diritto alla pace, assoluto e incondizionato, dovrebbe essere quel «diritto naturale» a cui si ispira la Carta dell’ONU all’art. 51, che però prevede, anch’essa a tradimento del principio, l’autotutela individuale e collettiva e la possibilità quindi di guerra per rispondere ad un attacco armato. Ecco perché bisogna diffondere il pensiero di Angelo Gaccione e i suoi scritti contro la guerra raccolti nel libretto NO WAR. Va da sè che in un’era nuclerare come la nostra, a 5 anni dal Trattato per la messa al bando delle armi nuclerari ratificato il 20 settembre 2017 da 53 Stati ma rimasto inattuato, ogni guerra è un pericolo grave per l’intera umanità, perché non lascerà né vinti né sconfitti ma solo distruzione per tutti.
Il principio pacifista nasce sulla base delle sofferenze dell'umanità e delle macerie lasciate dalle guerre Il Sudafrica, la seconda guerra mondiale, la bomba atomica, la Shoah. E funziona a condizione che ci sia il coraggio di difenderlo e pienamente attuarlo. Il diritto alla pace è riconosciuto oramai come un diritto fondamentale dalla comunità internazionale. Facciamo ora un salto evolutivo, riconosciamolo sul serio, attuiamolo. Come si può non mobilitare le coscienze contro ogni conflitto che porti ad una disastrosa fine per tutti? Quale altra soluzione se non il disarmo unilaterale, totale e incondizionato? Grazie per l’attenzione.
Avv. Giovanni Bonomo
Centro Culturale Candide
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