6/20/2025

Verso l'autonomia cognitiva artificiale: i LMM e la AGI

          Con l’avvento della Intelligenza Artificiale l’umanità coltiva un sogno futuribile: costruire un’IA capace non solo di macinare dati a velocità cosmiche, ma di pensare, ragionare, apprendere e adattarsi come - o meglio di - un essere umano. Questo sogno ha un nome preciso: AGI, ovvero Artificial General Intelligence, l’Intelligenza Artificiale Generale.

 

1.     Il sogno di un'intelligenza universale 

Da Alan Turing in poi, l'umanità ha coltivato l'ambizione di costruire macchine capaci non solo di calcolo, ma di pensiero. Nel suo celebre articolo del 1950, Turing formulava la domanda che avrebbe segnato un'intera epoca: "Le macchine possono pensare?"1. La risposta, nel corso dei decenni, ha oscillato tra scetticismo filosofico e slancio tecnologico. Oggi, con l'emergere dei Large Multimodal Models (LMM) e l'orizzonte teorico dell'Artificial General Intelligence (AGI), la domanda non è più solo "possono pensare?", ma "possono agire autonomamente in modo intelligente, creativo, adattivo?".

 

2.     Dai LLM ai LMM: verso la comprensione multimodale 

I Large Language Models (LLM), come GPT-4, hanno mostrato capacità sorprendenti nella generazione di testo, nel riassunto, nella traduzione e nel problem solving linguistico. Tuttavia, restavano confinati al dominio del linguaggio. I Large Multimodal Models, come Gemini di Google o GPT-4o di OpenAI, rappresentano un salto qualitativo: integrano linguaggio, immagini, suoni, perfino video, in un'unica architettura neurale. 

Questo approccio richiama una forma di cognizione simile a quella umana, che è intrinsecamente multimodale. Non pensiamo solo a parole, ma a immagini, sensazioni, movimenti. I LMM possono ad esempio "guardare" un'immagine, "ascoltare" una voce, e rispondere con testo o sintesi vocale. Non è più solo una questione di sintassi, ma di senso.

 

3.     L'autonomia cognitiva: definizione e implicazioni 

Parlare di autonomia cognitiva artificiale significa fare un passo ulteriore. Non si tratta soltanto della capacità di rispondere a input complessi, ma di sviluppare intenzionalità, coerenza narrativa, capacità di apprendimento continuo e flessibile. Una macchina dotata di autonomia cognitiva può porsi obiettivi, riformularli, apprendere nuovi concetti al di fuori del proprio addestramento originario. 

Questo porta con sé interrogativi radicali: può una macchina essere considerata agente? E se sì, con quali responsabilità? Floridi ha parlato di "entità artificiali moralmente neutre ma ontologicamente nuove"2, mentre Nick Bostrom ha messo in guardia contro i rischi esistenziali legati a un AGI fuori controllo.3

 

4.     AGI: tra mito e ingegneria 

L'Artificial General Intelligence è spesso dipinta come una sorta di Santo Graal tecnologico: una mente artificiale capace di svolgere qualsiasi compito cognitivo che un essere umano è in grado di compiere. La differenza con l'IA ristretta (Artificial Narrow Intelligence) sta nella flessibilità e nella capacità di trasferimento: l'AGI apprende da un dominio e applica la conoscenza ad altri, senza necessità di addestramento specifico.

Douglas Hofstadter sottolinea che la coscienza non è un algoritmo, ma un fenomeno emergente. Eppure, gli sviluppi recenti nei LMM e nei sistemi autoregolati ("autoGPT", "open agent systems") sembrano mostrare barlumi di autonomia emergente. Sono ancora lontani da una vera AGI, ma avanzano verso una "quasi-generalità".4

 

5.     Prospettive giuridiche ed etiche 

L'autonomia cognitiva implica una ridefinizione del concetto di responsabilità. Se un sistema prende decisioni autonome, chi risponde? Il programmatore? L'utilizzatore? Il produttore? O lo stesso sistema? La giurisprudenza attuale non è attrezzata per questi scenari. Il Parlamento Europeo, con il suo AI Act, ha avviato una prima regolamentazione, ma è ancora orientata a sistemi deterministici, non a entità adattive. 

Nel diritto d'autore, l'autorità creativa dell'IA è già dibattuta: può un'opera generata da un LMM essere protetta? E chi ne è l'autore? Tali dilemmi mostrano come il diritto debba trasformarsi, affiancando filosofia, informatica e sociologia.

 

6.     Verso un nuovo umanesimo digitale 

Siamo a un bivio storico. L'autonomia cognitiva artificiale non è (ancora) realtà, ma è già problema. Occorre uno sforzo interdisciplinare per accompagnare l'emergere di questa nuova forma di intelligenza. Lungi dal vedere l'AGI come un Prometeo da incatenare o un Golem da temere, potremmo considerarla come uno specchio critico: ci costringe a ripensare che cosa significhi davvero essere umani, pensanti, responsabili. 

Come scriveva Norbert Wiener, padre della cibernetica: "Il problema fondamentale non è se le macchine possano pensare, ma se gli uomini lo facciano ancora"5.

 

7.     E poi? Il salto oltre la specie 

Il passo successivo sarà la creazione e lo sviluppo della ASI Artificial Super Intelligence che va oltre l’intelligenza umana e che coi farà fare il salto oltre la specie, verso una singolarità e una comprensione dell’universo e della realtà che ora nemmeno possiamo sognare. Questa superintelligenza potrebbe emergere attraverso un processo di auto-miglioramento ricorsivo, in cui l’IA diventa sempre più capace, in un circolo virtuoso, di perfezionarsi autonomamente. Saremo allora in grado di dialogare e confrontarci con le altre superintelligenze dell’universo. 

Giovanni Bonomo
             New Media Lawyer, A.L. Chief Innnovation Officer, IICUAE Certified Advisor, AlterEgoGPT founder

 

Bibliografia essenziale:

1. Alan Turing, Computing Machinery and Intelligence, 1950
          2. Luciano Floridi, The Ethics of Information, 2013
          3. Nick Bostrom, Superintelligence, 2014
          4. Douglas Hofstadter, I Am a Strange Loop, 2007
          5. Norbert Wiener, Cybernetics and Society, 1950




2/20/2025

Mi viene in mente Jean Meslier, il parroco ateo, ogni volta che incontro un prelato in un contesto culturale

 

Quando incontro un sacerdote di culto cattolico o un qualsivoglia prelato in un contesto di riflessione e di cultura, o anche politico, non posso fare a meno di chiedermi come la pensi in cuor suo e se per davvero, al di là delle apparenze e del ruolo che deve rappresentare, ci creda su serio, perché mi sembra ormai impossibile, alla luce di tutte le informazioni e pubblicazioni che si trovano oggi anche in Internet, farsi portatori di un credo religioso smentito storicamente e che ripugna al buon senso e alla stessa morale (si veda, da ultimo, il saggio di Renato Testa https://venturinibookshop.com/prodotto/la-malafede (ma basterebbe leggere la precedente accurata analisi di Pepe Rodriguez in https://editoririuniti.it/products/verita-e-menzogne-della-chiesa-cattolica-come-e-stata-manipolata-la-bibbia.

 Perché se è vero che la cultura media di un popolo si misura sulle tradizioni ed è condizionata dalla religione ufficiale del proprio Stato, è anche vero che, almeno per l’Italia, un prelato intellettuale officiato di alte cariche non può non avere quel pensiero critico che deriva dal sapere e dalla propria più elevata cultura. Lo stesso Vaticano, a parte le biblioteche delle diocesi (come da noi la preziosissima Biblioteca Ambrosiana), ha una biblioteca immensa.

 Nella storia del mio Centro Culturale Candide, dedicato a Voltaire e all’etica laica, ho presentato vari autori, tra i quali scrittori e saggisti di esegesi biblica. Ma numerosi sono stati i convegni, anche in Italia, dedicati all’analisi storica della figura di Gesù, i cui resoconti riportati sul Web sono poi “misteriosamente” scomparsi. 

A mia volta ho scritto a più riprese che su Gesù Cristo l'analisi storico-antropologica è ormai netta, si tratta di un risultato sincretico di tanti personaggi, come succede per tutti i messia che si sono succeduti nei secoli. 

Del resto, dopo gli studi dell'avvocato svizzero Emilio Bossi (https://liberliber.it/autori/autori-b/emilio-bossi-alias-milesbo/gesu-cristo-non-e-mai-esistito), ci sono anche quelli di Luigi Cascioli, il cui libro sulla favola di Gesù Cristo (https://www.anobii.com/it/books/la-favola-di-cristo/010172ed243fa3b426) non si trova ovviamente nelle librerie, ma solo in qualche Circolo Culturale Giordano Bruno. 

Purtroppo in Italia la verità viene offesa ogni giorno, e ora ancora di più oscurata dall'apparente buonismo dell'attuale papa. E poi poco conta - diciamolo chiaramente - che Gesù di Nazareth sia esistito o meno: i primi a tradire il messaggio evangelico e i suoi condivisibili princìpi, sono proprio i credenti: è la storia che parla, anche senza leggere i dieci tomi enciclopedici dell'opera monumentale di Karlheinz Deschner sulla Storia criminale del cristianesimo, basta avere un minimo di onestà intellettuale e non nascondersi dietro un dito. 

Per questo, dicevo, un recente incontro con un giovane e intelligente prete ad un pranzo del Rotary mi fa venire in mente un altro prete, di altra epoca, mente brillante e precursore del secolo dei lumi, il quale rivelò, nel suo testamento, la vanità e gli errori della superstizione religiosa. Si tratta di Jean Meslier (1664 – 1729), del quale si trova questa significativa bibliografia nel Web: http://www.steppa.net/html/meslier/meslier.htm). 

Per quarant’anni è parroco di Etrépigny, piccolo villaggio delle Ardenne francesi, dicendo messa, celebrando matrimoni, battezzando, confessando, insegnando catechismo, facendo fronte a mille impegni anche nelle parrocchie vicine. Ma quando viene la sera, quando la sua perpetua se n’è andata, dopo che il silenzio è calato sul villaggio, egli – in compagnia degli scritti di Lucrezio, di Cartesio, Montaigne, Bayle, Boezio e molti altri – scrive alla luce di una candela e fino a notte fonda. Il suo pensiero si rinviene nel suo testamento, i cui passi significativi vengono riportati nella suddetta biografia. 

Bisogna finalmente comprendere che, contrapposti al dogma religioso che blandisce la paura, il pensiero critico e il principio di laicità sono valori irrinunciabili per la civiltà e il progresso dell’umanità. è con la forza della ragione che possiamo opporci all’imposizione di un pensiero calato dall’alto, facendo valere e riconoscere i diritti dell’uomo, la parità tra i sessi, l’emancipazione, l’amore per il sapere, la solidarietà.  

Una religione che si basa su una mistificazione storica (*) come la favola di Gesù Cristo – personaggio inventato con la sovrapposizione del messia sacerdotale Yeshua ben Panthera (Gesù), di umili origini, condannato dal Sinedrio alla lapidazione per stregoneria, con il messia politico di fede zelota e ribelle Giovanni di Gamala, detto “Kristos” (Cristo, Unto), figlio di Giuda il Galileo, condannato alla crocefissione da Ponzio Pilato per l’insurrezione dell’anno 36 dell’era volgare contro il potere romano – al fine di “trovare” (in assenza di documentazione storica) un Messia non più come guerriero davidico ma come Salvatore degli oppressi, è ancora meno credibile di ogni altra! Il resto della storia è quello della costruzione dei falsi, nel Nuovo Testamento, da parte dei Padri della Chiesa, per nascondere l’origine rivoluzionaria del Cristianesimo e farlo apparire come religione rivelata.  

Cosí anche la scopiazzatura, il plagio, del culto di Mitra e delle altre divinità solari (Horus) che il cattolicesimo compie a partire dai fondamenti della teologia giudaica-cristiana fino alla stessa liturgia, non sarebbe apparsa evidente ai più. Di questa mistificazione storica abbiamo l’ultimo esempio con il recente libro su Gesù di Nazareth del precedente (vero) papa Ratzinger. 

Penso a questo punto che siamo geneticamente programmati a servilmente credere anziché pensare. Come la Chiesa abbia sfruttato questa nostra predisposizione servile e abbia saccheggiato il paganesimo per costruire i proprio potere accumulando le proprie immense ricchezze è bene spiegato nel libro IL SANTO PLAGIO dell’appena scomparsa compianta Laura Fezia. 

Ma non la penso diversamente sulle altre due regioni abramitiche, condividendo il saggio (un’opera che fu in testa nella graduatoria dei libri blasfemi della Santa Inquisizione) Trattato dei tre impostori, di autore a tutt’oggi ignoto: la religione, di qualsiasi tipo, avvelena il pensiero ed è incompatibile con la ragione, fomenta le guerre e i fanatismi ideologici. La fede è un firewall alla conoscenza. La condotta morale e la vera spiritualità è solo in noi stessi e deriva dalla nostra cultura e dalla (unica benefica) ansia di sapere!   

Milano, 20. 2.2025
Avv. Giovanni Bonomo – Candide C.C.

 

 

 

 


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(*) Agli occhi dell’esegeta attento e disincantato appare alla fine evidente (come a vari studiosi seri di esegesi biblica, tra i quali Giancarlo Tranfo e Luigi Cascioli) che dietro al Gesù Cristo figlio di Dio, messia unico per necessità teologica, ci sono le “impronte digitali” di due diverse individualità, cancellate dalla storia e oscurate (fortunatamente non del tutto) nelle cronache del tempo, forzate in un solo personaggio e in una sola vicenda: proprio per questo in essi convivono aspetti reciprocamente inconciliabili e inspiegabili contraddizioni. Gesù o Yeshua, per chiamarlo con il suo vero nome, testimone autentico di quella spiritualità di matrice essena volta al riscatto dei poveri e alla condanna degli oppressori, convive con l’indole guerriera del “figlio di David”, chiamato a liberare Israele con le armi. Il testamento d’amore scolpito nelle parole del “discorso della montagna” convive con il programma di guerra di chi dice: “non sono venuto a metter pace, ma spada.” La povertà delle origini convive con la discendenza regale e perfino l’accusa religiosa di magia e apostasia diviene titolo di esecuzione per una condanna romana riservata ai sediziosi, su un patibolo romano recante a pubblico monito il capo d’imputazione: ”Questi è il re dei Giudei”. Tale imputazione non ha senso per il “Figlio di Dio” titolare di un regno che “non è di questo mondo”, così come non ha senso per un predicatore illuminato designato come guida spirituale della nuova Israele. L’accusa è invece coerente soltanto nei confronti di chi, rivendicando un titolo usurpato, promuova una rivolta armata contro gli usurpatori e i loro alleati. La trasformazione del titolo messianico di “Unto” (Cristo), appartenuto al messia davidico, in una sorta di identificativo anagrafico simile ad un moderno cognome, ha vissuto nei secoli accanto al nome appartenuto al messia di Aronne (Yeshua). Quale fu il risultato? Da Gesù più Cristo nacque… Gesù Cristo! 

Si comprende a questo punto la necessità, affinché il Cristianesimo potesse diffondersi, di cancellare dalla storia del Messia ogni riferimento alla sua origine rivoluzionaria, facendo sparire innanzitutto, assieme a tutta la storia degli Esseni, la sua qualifica di Nazireo (sostituita con abitante di Nazareth) e la sua origine golanite, centro famigerato della accanita resistenza antiromana. Queste operazioni furono rese possibili in seguito alla protezione accordata dagli imperatori alla nuova religione dopo il Concilio di Nicea (325 d.c.). Inizia infatti a partire da questa data la persecuzione capillare e cruenta delle religioni e opinioni contrarie al Cristianesimo protrattesi nella lunga storia di nefandezze della "Santa Inquisizione" fin dentro il secolo dei lumi, come il caso dello studente diciannovenne Cavaliere de la Barre, orrendamente suppliziato e messo al rogo nel 1766 per non essersi genuflesso ad una processione. Ma la verità dei fatti pare che si sapesse già all'epoca, infatti nel 248 d.c. il filosofo platonico Celso dichiarava in: “Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate”.