10/17/2023

ATEI DEVOTI si nasce o si diventa?

In più scritti ho affrontato lo scomodo argomento della religione in tutte le sue forme e confessioni, indagando sulle origini e presentando vari libri di storici ed esegeti biblici, soprattutto per quanto riguarda il nostro Cristianesimo. 

Sotto il profilo etico ho sempre sostenuto che ogni credo religioso è un firewall alla conoscenza, che dove c’è fede c’è violenza e che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di alcuna religione. Internet è pieno dei miei scritti sul tema (anche cercando alla voce Centro Culturale Candide) e i quattro brevi saggi che riporto in calce sono significativi del (pur non esaurienti il) mio pensiero.   

Più volte mi è stato detto da qualcuno che anche gli atei sono in realtà credenti perché credono nell’ateismo. Ma l’ateismo è negazione della religione come antitetica al PENSARE, non certo una credenza: credere in che cosa se non nel libero e critico pensiero e in nessuna verità di comodo o rivelata? 

Il credente spesso si ispira a sofismi senza però avere né le basi concettuali né culturali per contrastare ciò che va da sé per logica. Questo avviene perché la maggior parte dei credenti sono ipocriti e atei a metà, o “atei devoti”, vale a dire convinti, pur non credendo più in alcuna favola o favoletta, dell'efficacia storica e della funzione socio-economica della religione, della sua importanza nel campo della morale, perché detta regole pratiche di comportamento ai più e i doveri di sottomissione a chi governa, anche se non più capo spirituale e politico in uno come ai tempi del cesaropapismo. 

Del resto sarebbe assurda e contraddittoria una morale solo teorica e non destinata alla concretezza dei comportamenti personali e sociali. Nella Critica della Ragion Pratica e nella della Critica del Giudizio, Immanuel Kant, il noto filosofo  esponente dell’Illuminismo tedesco, sostiene che ogni falsa dottrina vada giudicata nei suoi effetti pratici, e che pure nel campo della ragion pura, quello specifico della metafisica, si possa prescindere dall’esistenza di dio, il quale serve solo come postulato per ogni fuffa teologica dell’essere. 

In poche parole non dobbiamo fermarci con analisi teoriche, inconcludenti, inutili, sulla esistenza o inesistenza di un dio con la pretesa di definire la realtà dell'ESSERE, di cui a nessuno importa niente, e che ha prodotto migliaia di dei e religioni diverse. Le discussioni sull’esistenza di un qualsiasi dio sono care solo agli imbroglioni, per creare nuove sette con i suoi adepti. 

Dobbiamo invece discutere e dibattere di altro, del dover essere, della ragion pratica, della deontologia, non dell'ontologia. E, secondo la prospettiva del giurista, dobbiamo discutere solo del diritto posto, depurato da ogni legame con nozioni morali, politiche e sociologiche, almeno secondo Hans Kelsen (in “La dottrina pura del diritto”).  

L’ateo devoto è un obbediente, non un religioso (termine che almeno in origine ha un significato positivo), un credente nell’essere come verità indiscutibile anziché nel dover essere. Sono atei devoti, a parte una piccola massa di devoti puri esaltati, bigotti e deviati mentali o integralisti o malati mentali volontari, gli indifferenti e obbedienti, privi di curiosità intellettuale nell’indagare la vera realtà in cui viviamo, privi impegno civile e di libero e critico pensiero. Ne è riprova il fatto che anche chi si ritiene credente - quindi tutti i credenti - credono ognuno a cose diverse, ad un dio molto personale e interpretato diversamente dagli altri (“non vado in chiesa ma credo”), ci vedono quello che ci vogliono vedere, così ogni credo religioso va bene per tutti. 

Milano, 17.10.2023
          Avv. Giovanni Bonomo

 

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