“Se
le guerre possono essere avviate dalle bugie, esse possono essere fermate dalla
verità” Julian Assange
Questa
la frase citata nell’introduzione del film documentario Ithaka, proiettato ieri 15 febbraio al C.I.Q.
di Milano sulla vicenda ancora in atto del giornalista e fondatore di WikiLeaks.
Il film, documentata testimonianza del padre che caparbiamente combatte per la liberazione del figlio, è
anche, al di là delle vicende personali, un accorato appello a tutti noi e alla
nostra coscienza di cittadini responsabili nel difendere il diritto fondamentale di espressione del pensiero e di
informazione.
Ad oggi Julian
Assange, informatico, giornalista e
attivista australiano, fondatore nel 2006 di Wikileaks,
è perseguitato e privato della propria libertà: prima rifugiato
nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e poi negli ultimi tre anni recluso in
una prigione inglese di massima sicurezza. Ora la sua estradizione verso gli
USA sembra inevitabile, alla quale seguirà la pena detentiva a vita, a meno che tutti
noi prendiamo coscienza che la libertà di Assange è anche la libertà di tutti
noi, che dobbiamo mobilitarci così come conoscenti, familiari e legali di
Assange si sono mobilitati e non si sono mai
arresi.
In questi giorni la lotta di Assange contro
l’estradizione negli Stati Uniti sta raggiungendo una fase critica, con le
udienze di appello che si terranno presso l’Alta Corte del Regno Unito il 20 e
21 febbraio p.v. e anche il sottoscritto fa parte, ancor prima della pubblicazione dell’articolo
https://ilvelodimaya.eu/non-possiamo-ignorare-assange-e-il-dirittodisapere,
dei tanti giornalisti, associazioni, media
e testate indipendenti, scrittori e intellettuali che sostengono Julian
Assange e WikiLeaks, in difesa delle
libertà di espressione nell’interesse di tutti, come imperativo morale prima
ancora che di diritto.
Ma
nello scenario attuale con le due efferate e disumane guerre che si stanno combattendo,
una nel cuore dell’Europa e l’altra in Medioriente, viene spontanea una domanda: le democrazie occidentali difendono ancora il
principio costituzionale di libertà di informazione come proprio pilastro
fondamentale?
Perché non possiamo dirci oppositori della autocrazie,
dei governi “autoritari”, come li
chiamiamo, se non sappiamo o non vogliamo difendere la libertà di informazione
che in tale autocrazie viene violata. Perché non possiamo dirci oppositori delle
dittature - ripeto - se non sappiamo o non vogliamo difendere il tratto più
distintivo della nostra democrazia: la libertà di informazione.
Qualsiasi
discussione sul conflitto, sulle responsabilità e sulle speranze di pace deve
partire da tale riflessione. Se vogliamo condividere la semplicistica – ma teoricamente
corretta - narrazione che ci presenta la guerra come uno scontro tra democrazie -
l’Ucraina e i Paesi occidentali che la supportano - e le autocrazie
- la Russia e i suoi alleati - occorre ricordare che un pilastro delle
democrazie moderne è costituito, storicamente, dalla libertà di stampa e
di informazione.
Altrimenti
le “democrazie di diritto occidentale”, come vorrebbero farsi chiamare e presentarsi
al mondo, commetterebbero gli stessi errori – e li stanno commettendo non solo
in questo caso di Assange ma anche in molte altri casi meno clamorosi - di azzerare
e impedire il pensiero e l’accesso alle informazioni proprio come fanno le
dittature. Ma questo vale anche per l’informazione distorta, manipolata e propagandata,
invece che diffusa, a senso unico come avviene per la sanguinosa guerra tra USA
e Russia a tutt’oggi combattuta sul
terreno della martoriata Ucraina e a discapito dell’intera Europa: https://libertariam.blogspot.com/2023/06/la-guerra-nel-cuore-delleuropa-di.html
Non si possono nascondere i crimini di guerra
senza tradire gli stessi pilastri su cuoi si fonda uno Stato di diritto. Solo
se difendiamo la libertà di informazione possiamo indignarci per la chiusura da
parte delle autorità russe del periodico indipendente Novaja Gazeta diretto
dal premio Nobel per la Pace Dmitrij Muratov,
rivista in cui erano apparse le inchieste della giornalista Anna Politkovskaja,
uccisa a Mosca nel 2006 per il suo impegno a descrivere e denunciare, anche al
mondo occidentale, gli odiosi crimini commessi durante la guerra in Cecenia.
La vicenda umana e giudiziaria di Julian Assange è un
grave segnale di allarme di come sta degenerando la nostra tanto proclamata
democrazia quando i governi sono il risultato di una politica intesa non al
benessere dei cittadini e al bene pubblico, ma al potere personale e agli interessi
privati dei politici, con spese destinate più agli armamenti che alla ricerca
scientifica e alla sanità pubblica.
Wikileaks è
ancora viva, nonostante le varie persecuzioni, grazie ad apposite tecnologie –
prima fra tutte la crittografia – che protegge se stessa e le sue fonti, perché
Assange è anche un esperto informatico, sosteniamola!
Essa
è divenuta di interesse globale, giova ricordare, quando nel 2010 iniziò a
pubblicare informazioni riservate riguardanti le operazioni militari
statunitensi in Iraq e Afghanistan. Il 5 aprile del 2010 Assange e i suoi
collaboratori pubblicano un video del pentagono Collateral Murder, divenuto subito virale, nel
quale si vede una scena risalente al luglio del 2007: un elicottero americano
Apache mentre stermina civili inermi a Bagdad.
Nel saggio di Stefania Maurizi “Il potere segreto. Perché vogliono
distruggere Julian Assange e Wikileaks” si legge la storia di WikiLeaks
e del suo fondatore. L’Autrice si batte da anni per la liberazione di Assange e
per fargli avere giustizia, perché la sua libertà personale è anche la nostra
libertà di informazione.
Altrimenti Democracy Dies in Darkness, la democrazia muore
nell’oscurità, come recita il sottotitolo al The Whasington Post, riferendosi
implicitamente oltre che al fumo delle bombe e al fuoco delle armi, a tutti
quei segreti, a quelle menzogne, a quelle falsità che nascondono le atrocità
commesse nelle guerre.
Viviamo in uno scenario globale con distruzioni compiute
da uomini armati contro altri uomini anche disarmati che coinvolgono ormai la
stessa esistenza del pianeta per la minaccia nucleare: la guerra diventa di per
sé intollerabile e impone ormai rimedi immediati, con l’eliminazione di ogni
violenza per la ricostruzione di ogni rapporto umano.
Non resta che tornare alla storia, al diritto
e all’etica, i tre prodotti della nostra vicenda terrena, che attendono
di essere ancora più difesi e propagandati, questi sì, per realizzare la
giustizia nel mondo, come osserva Remo Danovi nell’articolo “Intorno al diritto
di guerra e pace”, su La Previdenza Forense n. 3/2023 p. 39.
Come a Londra il 20 febbraio p.v si manifesterà davanti
alla Royal Courts of Justice, nello stesso giorno a Milano manifesteremo
in piazza del Liberty davanti al Consolato britannico. Ora o mai più.
Milano, 16. 2.2024
Avv. Giovanni Bonomo